Sì, sarà anche stata una
villa gentilizia un tempo, sarà anche stata tale, anche se è così bizzarro
l’edificio, così caotico, così asimmetrico, tanto che neppure dopo anni riesco
ad immaginarmene la pianta, lo schema, la planimetria. Sarà stato anche, poi o
prima, un monastero carmelitano. Che sia stato un orfanotrofio è già più
verosimile. Ma a L, con quei mattoni sconnessi; con quelle arcate vuote; con
quelle vetrate in pezzi; con quelle stanze piene di rottami; con quei
giardinetti esangui / la vecchietta incappottata / il cagnolino magro
d’ordinanza; con la sua malinconia anche nei giorni di pieno sole; con la sua
inquietudine che ti aspetta, acquattata negli angoli bui; ecco, fa più l’impressione di un manicomio abbandonato dopo la legge Basaglia. Tanto
è vero che la follia di L, in quella grande casa di mattoni rossi, ha trovato la
sua casa.
Non solo lei. Cento altri
diseredati, erranti, poveracci, cento altri drop out, cento altri marginali
sono stati attratti o sono stati costretti in quegli immensi stanzoni umidi. E
vi hanno portato le loro poche cose e la loro grande disperazione. Uno di loro
portò perfino un piccolo gregge di pecore, che teneva tranquillamente in un
appartamento al primo piano. Arrivavano, allacciavano a reti abusive esistenze e
fili elettrici. In fondo una cornice ideale per coloro che provano a servire
Dio facendone risplendere la Bellezza: nell’immagine, nella parola, nel
concetto, e soprattutto nel gesto che lo chiama. Così il manicomio abbandonato
– dalla sera del sabato alla domenica pomeriggio – si riempiva di canti. E L
accumula ricordi di sere e di mattine, di neve e di gran caldo, di silenzio e
di suoni, di intimità e di caos, di frullare e sparpagliare di bimbi e di
trascinare e indugiare di vecchi, di digiuno e di banchetti con cibo strano, a
volte prima offerto per i morti, e condiviso assieme a un nome, un ricordo
chiesto, un sospiro e spesso una lacrima. E ai banchetti intervenivano spesso
anche gli altri marginali, ben felici di questa usanza nutriente.
Fatto è che, un brutto
giorno, il Divisore rimase colpito da quel punto d’oro, azzurro, luce,
desiderio, canti, pianti e preghiera incastonato nel malinconico palazzo di mattoni. Se
ne ingelosì, se ne incapricciò, era un niente ma lo disturbava, così decise di spazzarlo
via. Indusse nei vicini una brama per le presunte ricchezze della chiesa. Vi fu
dunque chi vi entrò e rubò, una, due, tre volte. Nell’indifferenza sonnacchiosa
della cittadina di provincia, i fedeli provarono a sbarrare le porte, e a
mettere grate alle finestre: non bastò. Ogni volta che lasciavano sole le loro
cose care e sacre avevano un tuffo al cuore, per il non sapere se avrebbero
potuto ritrovarle ancora. Fu sparsa la zizzania, tra la gente del manicomio
rosso trovò spazio perfino la profanazione. Fino a che qualcuno tentò di
abbattere a picconate il muro dell’altare delle offerte. E pS si fermò attonito
davanti alla ferita slabbrata nel muro azzurro, davanti ai calcinacci sparsi
sui santi calici, davanti alla violenza che pareva entrare da quel buco. Pregò,
pensò, prese la decisione: dobbiamo andarcene da qui.
E Costantinopoli così bella e regale e così
costantemente esposta alle razzie delle navi barbare e saracene. E ecco che una
grande flotta slava e pagana proveniente dalla Rus’, con alla testa i terribili
Askol e Dir, all’inizio del decimo secolo, minacciò la città regale.E la notte
del primo di ottobre la chiesa delle Blachernae, vicino alla costa del Corno d’Oro,
traboccava di oranti: una chiesa preziosissima: perché custodiva un’icona
capace di straordinari miracoli, forma viva e agente della Madre, la
Blachernitissa: ma tra i tesori aveva anche la cintura di Maria, la sua veste,
e il suo velo – o maphorion, portati dalla Palestina nel V secolo. Il velo che
– immerso nelle onde del Bosforo – aveva già protetto altre volte la sede dell’Impero.
E dunque si celebrava la veglia di tutta la notte, e tutta la notte tutti
pregavano, e fra tutti il folle in Cristo Andrea, ed Epifane, saggio discepolo
della pazzia del Maestro. E questo Andrea era un esploratore dell’Oltre, la sua
follia grimaldello per le incursioni fino al terzo cielo, aveva veduto il
Cristo, e gli angeli, e i santi, ma ritornando dalle sue straordinarie
ascensioni era stupito e un po’ amareggiato: perché Lei, Lei non l’aveva vista.
Vanno via, dunque. Questa
gente è gente che sa andar via. Senza far scene, senza far drammi, senza
sprecare parole o energie, semplicemente essa si alza e comincia fare i bagagli.
Lo ha già fatto in passato, lo farà in futuro. Vengono dalla Romania, dall’Ucraina,
dalla Moldavia, dalla Russia: gente semplice e forte; le donne
specialmente, le donne sono spesso badanti, donne che si occupano di spirito e
di carne, che baciano le icone e puliscono i sederi, che trattano Dio in modo
pratico e l’anziano in modo sacro. Ой-ой-ой, un trasloco, uno in più, non fa
certo loro paura.
Cominciano per L due
settimane di apprendimento. Osservando questa comunità impara la lezione
dell’andar via. Perché se loro sanno partire, lui invece non sa farlo e deve capire
come si fa. Ha così tanti luoghi di dentro che andrebbero lasciati. Con il medesimo stile, con la stessa dolcezza, con la stessa forza, con la stessa umiltà, con la stessa indomabilità.
La chiesa viene
rapidamente, in una sera e una notte, spogliata delle sue vesti. Lavorano sodo:
e gli abitanti abusivi guardano con gli occhi lucidi, passano e si commuovono,
forse tra i commossi c’è anche qualcuno che ha rubato, certo c’è qualcuno che
sa, tanto contraddittorio e ingarbugliato è il è il cuore umano. Le sante icone
vengono rimosse, avvolte in bianchi lenzuoli o in carta da pacchi, poi ricoperte
con quella pellicola con le bolle d’aria che è così divertente far scoppiare, e
infine deposte nelle scatole. E tu, T, che eri in ginocchio nella polvere, e
che prima di avvolgere l’icona nella carta baciasti con semplicità il volto del
Signore, e vi ponesti sopra una pezzuola bianca, perché non avesse a soffrirne,
quale lezione mi hai dato sulla differenza tra l’id e il tu. E tu, N, che
col trapano elettrico in mano hai smontato tutta l’iconostasi lasciandone solo
lo scheletro di metallo, e dicevi sorridendo malinconicamente: ‘mi ricordo, un
anno fa, quanto lavoro per tirarla su, ma sarà quel che Dio vuole’, che cosa mi
hai fatto capire sulla differenza tra l’andar via e l’abbandonare. Sì, perché
andando via non si abbandona. Non si tratta di un lâcher-prise disinvolto o orientaleggiante, di un’indifferenza
azzurrina e nirvanica al fluire inarrestabile degli eventi, ma di uno spezzarsi
porpora del cuore sull’obbedienza a Chi ti chiama altrove.
E nella chiesa della Blachernitissa era circa la
quarta ora della notte, e Andrea il folle guardò verso il cielo e vide e ne
tremò. E ne tremò perché vide la Madre tra i due Giovanni, il precursore e il
teologo, l’asceta e l’amato, venire fra gli splendori. E la vide nella chiesa,
mettersi in ginocchio sul pavimento, e sciogliersi in lacrime e in preghiera. E era Lei sì era proprio Lei, e splendeva così tanto il suo dolore [Et elle, elle ètait si touchante et si belle, si touchante et si pure,
non seulement toute en foie et en charité, mais toute en espérance même, pure et
jeune comme l’espérance]. E Andrea
il folle è preso da brividi sacri. E poi ecco, Lei si alza, e si avvicina…
C’è chi ha usato per
questo avvenimento la categoria dell’esodo, ma non so quanto in modo
pertinente. L’esodo è lasciare un esilio per un incerto e difficile cammino
verso casa. Qui è la casa ad essere lasciata. Ma lo si fa con stile, e anche
con una certa allegria. Un furgone credo rumeno viene stipato di porte regali e
aspirapolveri, di turiboli e termos. Portano tutto- mentre ormai è scesa la
notte - in un gigantesco magazzino di una fabbrica non più in uso. Il
proprietario è un uomo gentile, ma non solo: è anche dotato di penetrante
empatia. Dice: sento che per voi spostare
queste cose non è solo un fastidio, è anche un dolore. Ricevono grati
questo conforto di parole, com’è sempre quando esse toccano e riconoscono il
profondo. Di fuori è un po’ un set di Kusturica: gente stramba, monaci e preti,
donne e uomini varia slavità, un anziano infermiere che ne ha viste di tutte,
una ragazza piemontese che sa assolutamente il fatto suo, e perfino io
disorientato e disoccidentato come sempre, e tutti in bizzarra processione,
ciascuno con una torcia elettrica in mano o in bocca, portando scatole, icone,
stendardi, fonti battesimali, recipienti d'argento e d'oro, polverosi elettrodomestici.
Rapidamente la chiesa si
è spogliata. Nell’imminenza della festa della Protezione con il Velo, ecco che
la chiesa, il suo velo, decide di deporlo..
Risulta chiara
l’ambivalenza dell’idea di velo. “Il velo è un tessuto animato da pathos che
prende ad avere una vita propria e una sua autonomia visiva: ricetto,
metaforico e metonimico, della sostanza immaginaria del desiderio e
dell’irresistibile desiderio di vedere” scrive Rosanna Prezzo commentando Aby
Warburg. E vediamoli questi veli ambigui, Il velo di Maya, quello di Iside, il
velo che copre la luce del volto di Mosè, il velo del Tempio che diventerà velum scissum quel venerdì terribile, un
velo che rende desiderabile l’arca, perché, come dice il primo libro dei Re, le estremità
delle stanghe restano visibili, e i rabbini non temono di riconoscere, in
questo puntuto doppio evidenziarsi, la sensualità di un seno sotto una veste; e
cosa vide Giovanni nel sepolcro (perché si dice che entrando nel vuoto vide e
credette) se non il velo svelante del sudario? E quando Jabrail il gigantesco
arcangelo piombò ad ali chiuse sul Profeta Mohammed, e lui lo fuggiva preso da
terrore, ma animali e pietre lo salutavano come l’Inviato di Dio, e allora si
rifugiò dalla moglie Khadija, ed ella se lo strinse al petto come un bimbo, lui
che avrebbe conquistato la metà del mondo ma che ora tremava, e gli chiese:
marito mio, vedi tu la visione? Sì, rispose il Profeta, sì che la vedo! E
allora, intrepida, Khadija si strappa il velo e si scioglie i lunghi capelli,
poi torna a domandare: vedi ancora la visione? No, risponde lui. Dunque non era
un demonio, fosse stato un demonio non sarebbe scomparso, l’Arcangelo si è involato allo svelamento, per rispetto alla sacralità della capigliatura della sposa: e la moglie del
Profeta – svelandosi - rivela la natura divina del Visitatore, perché Dio rispetta.
Così non è strano che,
avvicinandosi la festa del Velo che protegge, la piccola chiesa perda i suoi
veli Come viene mostrato dall’icona del Nymphios, Cristo sposo nudo pronto
all’amplesso con la sua Chiesa abbracciandola sul terribile letto nuziale della
croce, la nudità dopo l’Eden non è più naturale, essa è un abito nuziale che
solo Eros può consentire di vestire. La piccola chiesetta dedicata al Velo,
per celebrare la sua festa ha accettato di toglierlo, mostrandosi nella sua
drammatica e affascinante nudità. Cosicché senza icone, ognuno deve diventarne
una: e mostrare; cosicché senza candele, ognuno deve diventarne una: e ardere;
cosicché senza porte, ognuno deve diventarne una: e consentire l’entrare e
l’uscire di Dio nel e dal Santuario.
La liturgia della
domenica precedente la festa, quindicesima dopo la Pentecoste, viene celebrata
in questa nudità vibrante. Grida l’Apostolo ai Corinzi che siamo: “Tribolati da
ogni parte, ma non schiacciati; sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma
non abbandonati; colpiti, ma non uccisi”.
…e Lei si avvicina, e prende il Suo velo, e lo
distende sulla gente raccolta nella chiesa.[Car le Fils a pris tout les péchés. mais la Mère a pris toutes les
douleurs] E Andrea pazzo in Cristo e ora
pazzo di gioia dice: Epifane, mio fratello, la vedi tu la Theotokos in
preghiera per l’intero Universo? e Epifane: oh sì, sì che la vedo, e sono
sopraffatto dalla meraviglia! E fra le Sue mani, che lo aveva preso [Et
elle, qui les avait pris], il velo era
tutto splendente, e da esso scaturivano bagliori e lampi di bellezza. Rimangono
i due, assorti, a contemplarla. Poi lei e il velo scompaiono, lasciando cadere
una rugiada di grazie.
Sera della festa . Su una
sedia, due donne e una bellissima bimba collocano le offerte per i morti. Due
candele sul minuscolo altare provvisorio. Dice pS della penombra grigia: Torneranno i volti. Parla dei volti dei
Santi. Dio ha donato l’esperienza della nudità perché se ne sperimentasse la
vulnerabilità e la gloria, ma non sarà per sempre. Torneranno a farci compagnia
i volti miti, quieti, ardenti dei Padri e delle Madri, tornerà il conforto
della loro presenza. I muri vuoti parlano di loro. C’è una differenza ben
precisa tra un qualcosa che è tolto definitivamente, per sbarazzarsene, come
accade le cose gettate dalla finestra in una notte di capodanno romana o
napoletana al fine di propiziare una vita nuova, e qualcosa che è tolto
provvisoriamente, per ragioni misteriose. In questo secondo caso il vuoto
silenziosamente chiama ciò che è assente, lo rivuole, si strugge per esso. E lo
riavrà. Così visibile questo sui volti dei morti. E – direbbe C – in quegli
oggetti che loro sopravvivono.
1434. 29 di un febbraio bisesto e funesto. E due
ragazzini, figli di nobili, giocano sui tetti delle Blachernae, a caccia di
uova di colombo nei nidi. Non si sa di preciso cosa avviene, ma a causa di
questo allegro passatempo la chiesa della Blachernitissa prese fuoco, proprio
quella dove Lei si era inginocchiata a pregare. incantando Andrea il folle,
bruciò e non ne rimase nulla. Due bimbi in cerca di uccellini distrussero ciò che fu un tempo il presidio
contro la barbara e terribile armata slava. L’icona non si sa che fine fece, ah le
icone hanno spesso una volontà propria ed una vita tutta loro, forse si
trasformò in luce nelle fiamme, forse se ne andò all’Athos e i buoni monaci la
donarono allo Tsar nel Seicento. Giocò anche qualche ruolo tra il
religioso e il politico, quasi fungendo da ‘testimone’ passato dalla seconda
alla terza Roma. Dopo l’incendio rimane sul luogo una fonte d’acqua santa, a cui attingono
pellegrini cristiani e musulmani, una fonte che cura anime e occhi (nipson
anomemata me monan opsin).
Domenica, Liturgia di
Pokrov. Protezione della Madre di Dio. Festa del Velo. In chiesa quasi niente,
neppure le luci, solo un po’ di freddo e le voci dei cantori e degli officianti.
Oggi la Vergine è presente nella chiesa,
e con i santi invisibilmente prega di Dio per noi. Ci fosse stato un
Andrea, l’avrebbe veduta, in ginocchio sul vecchio tappeto.
La storia nella casa dei
mattoni rossi è probabilmente terminata. Ma – se anche questa comunità finisse
in un magazzino – lo riempirebbe d’oro, azzurro, luce, desiderio, canti, pianti e
preghiera. Pronta e preparata ad andar via di nuovo, con i suoi tesori, senza
far scene, senza far drammi, senza sprecare parole e energie, protetta com’è
dal velo misterioso.
[Le parti in francese
sono tratte liberamente e irrispettosamente da Le Porche du mystère de la deuxieme vertu, di Charles Péguy, 1911]