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lunedì 14 ottobre 2013

Pokrov svelata

Sì, sarà anche stata una villa gentilizia un tempo, sarà anche stata tale, anche se è così bizzarro l’edificio, così caotico, così asimmetrico, tanto che neppure dopo anni riesco ad immaginarmene la pianta, lo schema, la planimetria. Sarà stato anche, poi o prima, un monastero carmelitano. Che sia stato un orfanotrofio è già più verosimile. Ma a L, con quei mattoni sconnessi; con quelle arcate vuote; con quelle vetrate in pezzi; con quelle stanze piene di rottami; con quei giardinetti esangui / la vecchietta incappottata / il cagnolino magro d’ordinanza; con la sua malinconia anche nei giorni di pieno sole; con la sua inquietudine che ti aspetta, acquattata negli angoli bui; ecco, fa più l’impressione di un manicomio abbandonato dopo la legge Basaglia. Tanto è vero che la follia di L, in quella grande casa di mattoni rossi, ha trovato la sua casa.

Non solo lei. Cento altri diseredati, erranti, poveracci, cento altri drop out, cento altri marginali sono stati attratti o sono stati costretti in quegli immensi stanzoni umidi. E vi hanno portato le loro poche cose e la loro grande disperazione. Uno di loro portò perfino un piccolo gregge di pecore, che teneva tranquillamente in un appartamento al primo piano. Arrivavano, allacciavano a reti abusive esistenze e fili elettrici. In fondo una cornice ideale per coloro che provano a servire Dio facendone risplendere la Bellezza: nell’immagine, nella parola, nel concetto, e soprattutto nel gesto che lo chiama. Così il manicomio abbandonato – dalla sera del sabato alla domenica pomeriggio – si riempiva di canti. E L accumula ricordi di sere e di mattine, di neve e di gran caldo, di silenzio e di suoni, di intimità e di caos, di frullare e sparpagliare di bimbi e di trascinare e indugiare di vecchi, di digiuno e di banchetti con cibo strano, a volte prima offerto per i morti, e condiviso assieme a un nome, un ricordo chiesto, un sospiro e spesso una lacrima. E ai banchetti intervenivano spesso anche gli altri marginali, ben felici di questa usanza nutriente.

Fatto è che, un brutto giorno, il Divisore rimase colpito da quel punto d’oro, azzurro, luce, desiderio, canti, pianti e preghiera incastonato nel malinconico palazzo di mattoni. Se ne ingelosì, se ne incapricciò, era un niente ma lo disturbava, così decise di spazzarlo via. Indusse nei vicini una brama per le presunte ricchezze della chiesa. Vi fu dunque chi vi entrò e rubò, una, due, tre volte. Nell’indifferenza sonnacchiosa della cittadina di provincia, i fedeli provarono a sbarrare le porte, e a mettere grate alle finestre: non bastò. Ogni volta che lasciavano sole le loro cose care e sacre avevano un tuffo al cuore, per il non sapere se avrebbero potuto ritrovarle ancora. Fu sparsa la zizzania, tra la gente del manicomio rosso trovò spazio perfino la profanazione. Fino a che qualcuno tentò di abbattere a picconate il muro dell’altare delle offerte. E pS si fermò attonito davanti alla ferita slabbrata nel muro azzurro, davanti ai calcinacci sparsi sui santi calici, davanti alla violenza che pareva entrare da quel buco. Pregò, pensò, prese la decisione: dobbiamo andarcene da qui.

E Costantinopoli così bella e regale e così costantemente esposta alle razzie delle navi barbare e saracene. E ecco che una grande flotta slava e pagana proveniente dalla Rus’, con alla testa i terribili Askol e Dir, all’inizio del decimo secolo, minacciò la città regale.E la notte del primo di ottobre la chiesa delle Blachernae, vicino alla costa del Corno d’Oro, traboccava di oranti: una chiesa preziosissima: perché custodiva un’icona capace di straordinari miracoli, forma viva e agente della Madre, la Blachernitissa: ma tra i tesori aveva anche la cintura di Maria, la sua veste, e il suo velo – o maphorion, portati dalla Palestina nel V secolo. Il velo che – immerso nelle onde del Bosforo – aveva già protetto altre volte la sede dell’Impero. E dunque si celebrava la veglia di tutta la notte, e tutta la notte tutti pregavano, e fra tutti il folle in Cristo Andrea, ed Epifane, saggio discepolo della pazzia del Maestro. E questo Andrea era un esploratore dell’Oltre, la sua follia grimaldello per le incursioni fino al terzo cielo, aveva veduto il Cristo, e gli angeli, e i santi, ma ritornando dalle sue straordinarie ascensioni era stupito e un po’ amareggiato: perché Lei, Lei non l’aveva vista.

Vanno via, dunque. Questa gente è gente che sa andar via. Senza far scene, senza far drammi, senza sprecare parole o energie, semplicemente essa si alza e comincia fare i bagagli. Lo ha già fatto in passato, lo farà in futuro. Vengono dalla Romania, dall’Ucraina, dalla Moldavia, dalla Russia: gente semplice e forte; le donne specialmente, le donne sono spesso badanti, donne che si occupano di spirito e di carne, che baciano le icone e puliscono i sederi, che trattano Dio in modo pratico e l’anziano in modo sacro. Ой-ой-ой, un trasloco, uno in più, non fa certo loro paura.
Cominciano per L due settimane di apprendimento. Osservando questa comunità impara la lezione dell’andar via. Perché se loro sanno partire, lui invece non sa farlo e deve capire come si fa. Ha così tanti luoghi di dentro che andrebbero lasciati. Con il medesimo stile, con la stessa dolcezza, con la stessa forza, con la stessa umiltà, con la stessa indomabilità.
La chiesa viene rapidamente, in una sera e una notte, spogliata delle sue vesti. Lavorano sodo: e gli abitanti abusivi guardano con gli occhi lucidi, passano e si commuovono, forse tra i commossi c’è anche qualcuno che ha rubato, certo c’è qualcuno che sa, tanto contraddittorio e ingarbugliato è il è il cuore umano. Le sante icone vengono rimosse, avvolte in bianchi lenzuoli o in carta da pacchi, poi ricoperte con quella pellicola con le bolle d’aria che è così divertente far scoppiare, e infine deposte nelle scatole. E tu, T, che eri in ginocchio nella polvere, e che prima di avvolgere l’icona nella carta baciasti con semplicità il volto del Signore, e vi ponesti sopra una pezzuola bianca, perché non avesse a soffrirne, quale lezione mi hai dato sulla differenza tra l’id e il tu. E tu, N, che col trapano elettrico in mano hai smontato tutta l’iconostasi lasciandone solo lo scheletro di metallo, e dicevi sorridendo malinconicamente: ‘mi ricordo, un anno fa, quanto lavoro per tirarla su, ma sarà quel che Dio vuole’, che cosa mi hai fatto capire sulla differenza tra l’andar via e l’abbandonare. Sì, perché andando via non si abbandona. Non si tratta di un lâcher-prise disinvolto o orientaleggiante, di un’indifferenza azzurrina e nirvanica al fluire inarrestabile degli eventi, ma di uno spezzarsi porpora del cuore sull’obbedienza a Chi ti chiama altrove.

E nella chiesa della Blachernitissa era circa la quarta ora della notte, e Andrea il folle guardò verso il cielo e vide e ne tremò. E ne tremò perché vide la Madre tra i due Giovanni, il precursore e il teologo, l’asceta e l’amato, venire fra gli splendori. E la vide nella chiesa, mettersi in ginocchio sul pavimento, e sciogliersi in lacrime e in preghiera. E era Lei sì era proprio Lei, e splendeva così tanto il suo dolore [Et elle, elle ètait si touchante et si belle, si touchante et si pure, non seulement toute en foie et en charité, mais toute en espérance même, pure et jeune comme l’espérance]. E Andrea il folle è preso da brividi sacri. E poi ecco, Lei si alza, e si avvicina…

C’è chi ha usato per questo avvenimento la categoria dell’esodo, ma non so quanto in modo pertinente. L’esodo è lasciare un esilio per un incerto e difficile cammino verso casa. Qui è la casa ad essere lasciata. Ma lo si fa con stile, e anche con una certa allegria. Un furgone credo rumeno viene stipato di porte regali e aspirapolveri, di turiboli e termos. Portano tutto- mentre ormai è scesa la notte - in un gigantesco magazzino di una fabbrica non più in uso. Il proprietario è un uomo gentile, ma non solo: è anche dotato di penetrante empatia. Dice: sento che per voi spostare queste cose non è solo un fastidio, è anche un dolore. Ricevono grati questo conforto di parole, com’è sempre quando esse toccano e riconoscono il profondo. Di fuori è un po’ un set di Kusturica: gente stramba, monaci e preti, donne e uomini varia slavità, un anziano infermiere che ne ha viste di tutte, una ragazza piemontese che sa assolutamente il fatto suo, e perfino io disorientato e disoccidentato come sempre, e tutti in bizzarra processione, ciascuno con una torcia elettrica in mano o in bocca, portando scatole, icone, stendardi, fonti battesimali, recipienti d'argento e d'oro, polverosi elettrodomestici.

Rapidamente la chiesa si è spogliata. Nell’imminenza della festa della Protezione con il Velo, ecco che la chiesa, il suo velo, decide di deporlo..
Risulta chiara l’ambivalenza dell’idea di velo. “Il velo è un tessuto animato da pathos che prende ad avere una vita propria e una sua autonomia visiva: ricetto, metaforico e metonimico, della sostanza immaginaria del desiderio e dell’irresistibile desiderio di vedere” scrive Rosanna Prezzo commentando Aby Warburg. E vediamoli questi veli ambigui, Il velo di Maya, quello di Iside, il velo che copre la luce del volto di Mosè, il velo del Tempio che diventerà velum scissum quel venerdì terribile, un velo che rende desiderabile l’arca, perché, come dice il primo libro dei Re, le estremità delle stanghe restano visibili, e i rabbini non temono di riconoscere, in questo puntuto doppio evidenziarsi, la sensualità di un seno sotto una veste; e cosa vide Giovanni nel sepolcro (perché si dice che entrando nel vuoto vide e credette) se non il velo svelante del sudario? E quando Jabrail il gigantesco arcangelo piombò ad ali chiuse sul Profeta Mohammed, e lui lo fuggiva preso da terrore, ma animali e pietre lo salutavano come l’Inviato di Dio, e allora si rifugiò dalla moglie Khadija, ed ella se lo strinse al petto come un bimbo, lui che avrebbe conquistato la metà del mondo ma che ora tremava, e gli chiese: marito mio, vedi tu la visione? Sì, rispose il Profeta, sì che la vedo! E allora, intrepida, Khadija si strappa il velo e si scioglie i lunghi capelli, poi torna a domandare: vedi ancora la visione? No, risponde lui. Dunque non era un demonio, fosse stato un demonio non sarebbe scomparso, l’Arcangelo si è involato allo svelamento, per rispetto alla sacralità della capigliatura della sposa: e la moglie del Profeta – svelandosi - rivela la natura divina del Visitatore, perché Dio rispetta.
Così non è strano che, avvicinandosi la festa del Velo che protegge, la piccola chiesa perda i suoi veli Come viene mostrato dall’icona del Nymphios, Cristo sposo nudo pronto all’amplesso con la sua Chiesa abbracciandola sul terribile letto nuziale della croce, la nudità dopo l’Eden non è più naturale, essa è un abito nuziale che solo Eros può consentire di vestire. La piccola chiesetta dedicata al Velo, per celebrare la sua festa ha accettato di toglierlo, mostrandosi nella sua drammatica e affascinante nudità. Cosicché senza icone, ognuno deve diventarne una: e mostrare; cosicché senza candele, ognuno deve diventarne una: e ardere; cosicché senza porte, ognuno deve diventarne una: e consentire l’entrare e l’uscire di Dio nel e dal Santuario.

La liturgia della domenica precedente la festa, quindicesima dopo la Pentecoste, viene celebrata in questa nudità vibrante. Grida l’Apostolo ai Corinzi che siamo: “Tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi”.

…e Lei si avvicina, e prende il Suo velo, e lo distende sulla gente raccolta nella chiesa.[Car le Fils a pris tout les péchés. mais la Mère a pris toutes les douleurs] E Andrea pazzo in Cristo e ora pazzo di gioia dice: Epifane, mio fratello, la vedi tu la Theotokos in preghiera per l’intero Universo? e Epifane: oh sì, sì che la vedo, e sono sopraffatto dalla meraviglia! E fra le Sue mani, che lo aveva preso [Et elle, qui les avait pris], il velo era tutto splendente, e da esso scaturivano bagliori e lampi di bellezza. Rimangono i due, assorti, a contemplarla. Poi lei e il velo scompaiono, lasciando cadere una rugiada di grazie.

Sera della festa . Su una sedia, due donne e una bellissima bimba collocano le offerte per i morti. Due candele sul minuscolo altare provvisorio. Dice pS della penombra grigia: Torneranno i volti. Parla dei volti dei Santi. Dio ha donato l’esperienza della nudità perché se ne sperimentasse la vulnerabilità e la gloria, ma non sarà per sempre. Torneranno a farci compagnia i volti miti, quieti, ardenti dei Padri e delle Madri, tornerà il conforto della loro presenza. I muri vuoti parlano di loro. C’è una differenza ben precisa tra un qualcosa che è tolto definitivamente, per sbarazzarsene, come accade le cose gettate dalla finestra in una notte di capodanno romana o napoletana al fine di propiziare una vita nuova, e qualcosa che è tolto provvisoriamente, per ragioni misteriose. In questo secondo caso il vuoto silenziosamente chiama ciò che è assente, lo rivuole, si strugge per esso. E lo riavrà. Così visibile questo sui volti dei morti. E – direbbe C – in quegli oggetti che loro sopravvivono.

1434. 29 di un febbraio bisesto e funesto. E due ragazzini, figli di nobili, giocano sui tetti delle Blachernae, a caccia di uova di colombo nei nidi. Non si sa di preciso cosa avviene, ma a causa di questo allegro passatempo la chiesa della Blachernitissa prese fuoco, proprio quella dove Lei si era inginocchiata a pregare. incantando Andrea il folle, bruciò e non ne rimase nulla. Due bimbi in cerca di uccellini distrussero ciò che fu un tempo il presidio contro la barbara e terribile armata slava. L’icona non si sa che fine fece, ah le icone hanno spesso una volontà propria ed una vita tutta loro, forse si trasformò in luce nelle fiamme, forse se ne andò all’Athos e i buoni monaci la donarono allo Tsar nel Seicento. Giocò anche qualche ruolo tra il religioso e il politico, quasi fungendo da ‘testimone’ passato dalla seconda alla terza Roma. Dopo l’incendio rimane sul luogo una fonte d’acqua santa, a cui attingono pellegrini cristiani e musulmani, una fonte che cura anime e occhi (nipson anomemata me monan opsin).

Domenica, Liturgia di Pokrov. Protezione della Madre di Dio. Festa del Velo. In chiesa quasi niente, neppure le luci, solo un po’ di freddo e le voci dei cantori e degli officianti. Oggi la Vergine è presente nella chiesa, e con i santi invisibilmente prega di Dio per noi. Ci fosse stato un Andrea, l’avrebbe veduta, in ginocchio sul vecchio tappeto.

La storia nella casa dei mattoni rossi è probabilmente terminata. Ma – se anche questa comunità finisse in un magazzino – lo riempirebbe d’oro, azzurro, luce, desiderio, canti, pianti e preghiera. Pronta e preparata ad andar via di nuovo, con i suoi tesori, senza far scene, senza far drammi, senza sprecare parole e energie, protetta com’è dal velo misterioso.


[Le parti in francese sono tratte liberamente e irrispettosamente da Le Porche du mystère de la deuxieme vertu, di Charles Péguy, 1911]


giovedì 10 ottobre 2013

[Un anno dopo] Dimmi tu luna in ciel. Undici ottobre MCMLXII

Ho pensato di riproporre anche sul blog alcune note scritte altrove, per esempio su Facebook, a distanza di un anno, o di due. Tutto cambia così in fretta. Questa è stata scritta solo un anno fa, e sembrano secoli, considerando quanto è accaduto a quella finestra di Roma. E alla mia anima.


10 ottobre 2102, ore 12.44
Quella sera avevo centonovantotto giorni. Da centonovantaquattro ero diventato cristiano. Due genitori - una giovane madre e un padre un po' meno giovane e segnato dalla guerra - avevano portato un bimbo nella chiesa di san Marco a Firenze. Qui, tra l'incanto misterioso degli affreschi dell Beato Angelico e le risonanze squassanti delle prediche del Savonarola, tra il frullar d'ali multicolore dell'angelo Gabriele e le memorie del terribile frate bruciato sul rogo, tra meraviglia e tragedia, un religioso domenicano mi ha preso tra le sue braccia, mi ha asperso d'acqua, mi ha segnato d'olio profumato, e ha detto sopra di me delle parole nel nome della Trinità santa.Quella sera il bambino che ero presumibilmente dormiva. Marylin Monroe aveva da pochi mesi lasciato il suo corpo nelle oscure circostanze che sappiamo. I Beatles avevano inciso il loro primo 45 giri 'Love me do'. Nelle sale cinematografiche c'era il primo 007 'Licenza di Uccidere'. Dopo pochi giorni nelle edicole sarebbe comparso il primo numero di Diabolik. La crisi dei missili di Cuba.
Quella sera un Papa si appoggiò al davanzale di una finestra e si mise a parlare alla Luna come un innamorato. Era la vigilia dell'inaugurazione del Concilio Vaticano II. Che io sappia, il primo e l'ultimo Pontefice che si sia mai rivolto all'astro notturno. Chissà se era consapevole di quello che faceva. Il discorso della Luna. Il discorso della carezza del Papa ai bambini, che chissà su quante piccole fronti dormienti è discesa, e forse perfino sulla mia. E tutti a dire che bello, tutti ad ammirare il gesto informale, familiare e poetico. "La mia persona conta niente, conta niente..."
Eppure, rivolgendosi alla Luna, il Papa forse per un attimo scordò il Sole. O Oriens, splendor lucis eternae, et Sol iustitiae. Non fu la sentinella a cui viene rivolta l'angosciosa e speranzosa domanda 'Quanto manca alla notte?' (Isaia 21). Si sentì sedotto dal chiarore acquoreo dell'astro femminile e mutevole, e della sua chiaroscuralità d'argento. Per un attimo non volle lodare, non volle affermare, non volle pensare con desiderio al paterno e bruciante sfolgorare, verso cui tutti gli altari e le chiese del mondo erano volti, per celebrare il sacrificio. E fu molto. E fu tutto. Pose la Chiesa sotto la protezione della Luna. La Luna se la prese.
Crollò di schianto il pensiero cristiano come lo si era sempre pensato. Si trasformò il rito: i preti volsero d'un tratto le spalle al Sole, le spalle a Cristo: e guardarono in faccia gli uomini e si fecero guardare in faccia. Ed è sempre una voragine una faccia. San Pietro sembrava immutata quella sera d'ottobre: eppure uno che fosse entrato dentro non avrebbe più trovato il pavimento, ma un abisso senza fondo. La Verità si trasformò in verità, e quindi fu ancora più vera, perché la Verità è sempre Falsa. La svolta ermeneutica della teologia: le verità dogmatiche come proiezioni di forme comprensibili sulla parete della caverna platonica dell'Essere. Ne scaturì un cinquantennio cristiano intenso e terribile, autunno più che primavera. Non ci si affida alla Luna senza conseguenze. Ben lo sapeva il Serafico, quando - per non essere catturato dagli abissi simbolici - chiamò sole e luna 'fratello e sorella', e non Padre e Madre. Suoi pari, suoi compagni d'avventura, non oggetti di un desiderio trasognato.
Ora quel bambino ha 18.448 giorni, passati nel chiarore lunare. E' tempo di rivolgersi al Sole. Che è in Oriente. E brucia i deserti dove ruggisce il Leone di Giuda.