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lunedì 10 febbraio 2014

[Un anno dopo] Nevicata bianca: il Papa diventi monaco



11 Febbraio 2013, ore 2.32pm

Un'umida corrente giunge dall'Atlantico, e incontra i gelidi venti polari. Nevica fitto su Milano, e il vento spinge i fiocchi sui vetri delle finestre. Benedetto XVI si dimette. Nevicata bianca. Un'altra perturbazione occidentale inquietava questi cieli in quell'aprile del 2005, e un temporale si scatenava sulla città, mentre in una Roma grigia un fragile professore tedesco, appena vestito dei panni lasciati dal gigante polacco, si presentava al balcone della grande basilica come l'umile operaio della vigna del Signore. Fumata bianca.

Si scatenano i giornali, i siti. Televisioni e radio si contendono vaticanisti illustri, merce ora mediaticamente pregiata. Le Cancellerie mondiali rilasciano dichiarazioni infelucate. I social network schiumano di banalità, stupidaggini, ironie anche molto divertenti, presagi apocalittici. Morto un Papa se ne fa un altro, ma dimesso un Papa se ne fa un altro? Oppure il cadavere vivente che torna a vestirsi di nero sarà un'angoscia eccessiva per il neoeletto?

Io ho in mente alcuni ricordi. Ratisbona, e il terribile incontro scontro con l'Islam. Le sue occhiaie nere, scavate da un dolore che nessuno conosce interamente. La sua caduta silenziosa, quando una folle ragazza svizzera volle abbracciarlo, in mezzo alla basilica di san Pietro come un grande vecchissimo abete.  Il suo piegare il capo verso il Mihrab nella moschea blu.  La difesa accanita della ragione, povero dolcissimo professore teutone, 'ammalato' - come direbbe forse Umberto Eco - 'di clavicembalo ben temperato', mentre la postmodernità svelava un cosmo differente, liquido, anche se attraversato da strani bagliori. Il dolore degli scandali del clero. Il suo giungere le mani - come sottolineava qualche tempo fa un amico monaco - un po' orientale, un po' indobuddista, quando doveva salutare o rendere omaggio. Le carte sottratte, gli intrighi di curia, i corvi, i processi e le prigioni in Vaticano. Wojtila aveva l'attentatore turco, il feroce assassino, il Lupo Grigio, da visitare e perdonare, lui solo il molle ragazzone maggiordomo che rovistava nei cassetti. Otto anni come ricoperti di un mantello di inquietudine e di indecifrabilità.

E ora questo vecchio professore spiazza il mondo. Perfino la turbinante postmodernità tace e si siede ai piedi del Maestro. Con poche parole in un latino austerissimo, Benedetto ritorna Giuseppe, Giuseppe il sognatore, Giuseppe il fanciullo - with the amazing technicolor dreamcoat - Giuseppe lo sposo. Il vecchio ritorna bambino. Giovanni Paolo II aveva dato alla sua Chiesa lo spettacolo tragico e possente della sua malattia e agonia, Benedetto XVI dà alla sua Chiesa quello sommesso e mancafiato della sua stessa simbolica morte. 

Il piccolo Giuseppe dice di voler pregare. Mi piacerebbe che andasse in monastero. Magari in un monastero cistercense o certosino. Ora che è tornato giovane può sovrascrivere la vita, rivestirsi ancora di bianco, della bianca lana di san Bernardo o di san Bruno, stretta ai fianchi da una cintura di cuoio. Nevicata bianca, il Papa diventi monaco.

E contemporaneamente sarebbe bello che due Legati vaticani - come nel 'Die Erwaehlte' di Mann - giungessero in un monastero, dicendo a un monaco giovane che è tempo di diventare vecchio, di lasciare le dolci lane monastiche per le terribili, brucianti sete bianche e rosse della veste petrina. Un monaco diventi Papa. Ed evangelizzi il postmoderno.  Fumata bianca.


 

domenica 9 febbraio 2014

L'invenzione della ruota

Molte cose, in questi ultimi giorni, mi riportano con la mente a Firenze. Sarà forse un segno che prima o poi io debba tornarvi anche col corpo? Tornare ad abitare la vecchia casa sui tetti, con le tegole di cotto bagnate dalla pioggia, bruciate dal sole, talvolta un po’ sconnesse al mio passo di aspirante alpinista daumaliano?




Perché in questi giorni si parla tanto di quegli esperti che si sono riuniti a Ginevra, nel palazzo bianco delle Nazioni Unite, e guardatela questa immensa costruzione neoclassica, (“Aspice quales lapides et quales structurae!” Mc 13),  guardatela, ammiratela (An relinquetur lapis super lapidem qui non destruatur?), e dentro questo palazzo bianco si sono riuniti questi diciotto esperti, una signora del Ghana, una signora del Bahrain, una signora dell’Arabia Saudita, un signore della Spagna, una signora dell’Ecuador, un signore di Monaco, un signore della Slovacchia, una signora dell’Ungheria, una signora della Russia, un signore della Tunisia, un signore dell’Egitto, un signore dell’Etiopia, una signora della Malaysia, un signore del Brasile, una signora dell’Italia, una signora della Norvegia (che è la Presidente), una signora dello Sri Lanka, una signora dell’Austria. Ve le immaginate queste diciotto persone, signore e signori, nella sala luminosa del palazzo bianco, con l’aria condizionata alimentata dalle acque del lago di Ginevra, il riscaldamento con gas naturale, l’energia prodotta dal sole raccolto in pannelli fotovoltaici, le lampadine a basso consumo, e le toilette con il pulsante piccolo per quella cosa piccola e il pulsante grande per quella cosa grande (che a dire il vero ci sono anche all’autogrill di Lainate, ma io quando ci vado premo sempre il pulsante grande, perché non lo so il perché, sarà perché mi sembra comunque una cosa grande, e proprio adesso mi ricordo una frase di Andrej Siniavskij che ho letto a sedici anni e che diceva più o meno: “Depositiamo i nostri escrementi in coppe igieniche e crediamo di essere salvi”, ma sono certo che le signore e i signori esperti quando vanno alla toilette e fanno quella piccola usano proprio il pulsante piccolo), ve le immaginate queste persone nella loro sala con la moquette azzurrina, tutta calma e da cui magari si vedono le montagne, e queste persone sono il Committee on the Rights of Child. E in quei giorni (dal 13 al 31 gennaio) hanno esaminato i report del Congo, della Germania, della Santa Sede, del Portogallo, della Federazione Russa e dello Yemen. Non so come sia andata agli altri paesi (anche se certamente avranno ricevuto pure loro un documento con scritto “The Committee welcomes (si inizia sempre con le cose positive); the Committee notes; the Committee notes with regret; the Committee draws the State’s attention on; the Committee is deeply, seriously concerned, the Committee recommends; the Committee urges: così si esprimono le undici signore e i sette signori esperti), ma so più o meno come sia andata alla Santa Sede, e non le è andata proprio benissimo, come si può vedere scritto su tutti i giornali e su tutti i siti del mondo. Non starò certo qui a entrare nel dettaglio. Le undici signore e i sette signori, seduti nel loro palazzo bianco, rimproverano la Santa Sede per le carenze informative e educative rispetto alla sessualità, alla contraccezione, alla parità fra i sessi, all’aborto, ma soprattutto per gli abusi ai bambini compiuti dai sacerdoti.

Ora, lo strazio e la vergogna del prete pedofilo sono innegabili. Mia madre stessa – figlia di osti e baristi in un quartiere popolare e bellissimo di Firenze, e che quando apriva la finestra vedeva la facciata di Santa Maria Novella coi suoi marmi policromi, e le volute intarsiate di Leon Battista Alberti – mia madre mi raccontava che quando era adolescente un domenicano grasso coi capelli rossi torturava in confessione lei e le sue compagne con domande intollerabili, e io sentivo che questa esperienza l’aveva molto ferita. Infatti ora non ci va in chiesa, e non ci va a causa di tanti dolori (che poi è la ragione stessa per cui molti invece ci vanno, in chiesa, i dolori) ma tra essi forse anche quello subito a causa di queste domande insinuanti da parte di chi avrebbe dovuto solo esser tramite di un perdono.

Però, in questo momento, Dylan Farrow mi guarda con un visino dolce e imbronciato - un visino bianco bianco, che ben contrasta coi suoi capelli d’oro rosso – dal sito del New York Times. Sotto, la sua famosa lettera aperta con cui denuncia ancora una volta Woody Allen, per i suoi ripetuti abusi. “What’s your favorite Woody Allen movie? Before you answer, you should know: when I was seven years old…..”. Quando aveva sette anni Woody, il grande genio, la ha portata in una stanza della loro casa, che immagino desse su Central Park East, e le ha detto di sdraiarsi. Poi si è messo a giocare col trenino elettrico del fratello, un trenino semplice, di quelli che girano in cerchio. Poi la ha abusata, sussurandole che era una brava bambina, che sarebbero andati insieme a Parigi, che l’avrebbe fatta diventare una star nei suoi film. Lei guardava il trenino girare. “To this day, I find it difficult to look at toy trains” mi dice il visino di Dylan.

I sacerdoti abusanti certo non hanno il talento di Woody, il colpo di genio regressivo del trenino che gira e gira, no di certo, e magari neppure l’attico nell’Upper East Side di Manhattan, immagino piuttosto odori sgradevoli, un misto di cavolfiore cotto, aceto e piedi sudati, stanze squallide, crocifissi nudi sulle nude pareti, abbracci paterni che poi paterni non rimangono, ma ormai non ci si può più divincolare. E anche a me vien da pensare che il talento collochi in un certo senso al di sopra della morale, e ma non so se sia proprio giusto pensarla così. In ogni caso io credo che la pedofilia del clero sia una piaga dolorosissima ma circoscritta, non so, come quando una carie scopre un nervo, l’organismo complessivamente è sanissimo, ma il dolore è tale che gli viene da sbattere la testa contro il muro, se non da saltare proprio giù dal balcone e farla finita. Peraltro i Caschi Blu dell’ONU hanno stuprato anche loro, e vorrei sapere cosa avviene tra i funzionari dell’ONU e le tredicenni – non so – thailandesi o nigeriane, ma chissà se ci sono diciotto signore e signori che glielo dicono, all’ONU, quanto siano deeply and seriously concerned, e comunque, anche se glielo dicono, se questo viene rilanciato sui media di tutto il pianeta.

Ero partito da Firenze, e vi chiederete perché, dal momento che finora non ne ho parlato. E’ che nel documento delle diciotto signore e signori, al punto 35, c’è una preoccupazione forse minore, che è passata un po’ inosservata. The Committee is concerned sulla pratica mantenuta dell’abbandono anonimo dei bambini gestita da organizzazioni cattoliche in molti paesi attraverso l’uso delle cosiddette ‘baby boxes’. E più sotto, al punto 36, the Committee urges la Santa Sede di contribuire alla cessazione della pratica dell’abbandono dei bambini favorendo la pianificazione familiare, la salute riproduttiva, un adeguato counselling e supporto sociale per impedire gravidanze non pianificate, così come l’assistenza alle famiglie in difficoltà con l’introduzione delle confidential births negli ospedali come una misura estrema per prevenire l’abbandono e/o la morte del bambino.

Ora, sarà anche giusto, più che giusto. Ma a Firenze, quando ero bambino, li miei genitori abitavano vicino a una delle più belle piazze del mondo, la Santissima Annunziata, che era anche la mia parrocchia.  E in essa, oltre alla chiesa fondata dai sette mercanti fiorentini (mercanti, cioè ben attenti alla loro convenienza, tanto da vendere tutto per comprare la Perla di inestimabile valore; ma fiorentini, quindi progettati per perdere la testa il cuore e la vita per una Donna), c’è anche lo Spedale degli Innocenti, che è uno dei primi orfanatrofi dell’Occidente. Lo Spedale fu costruito dal Brunelleschi, che prese una misura (dieci braccia fiorentine) e con essa fece tutto, la distanza tra le colonne, l’altezza delle colonne, la larghezza del portico, il raggio delle volte, e gli venne fuori un incanto d’armonia da lasciar senza fiato. E fra arco ed arco Andrea della Robbia inserì i suoi putti, sullo sfondo di quel celeste che fu il suo sempiterno segreto. Ora, sotto questi portici si apre una feritoia, che dal 1445 al 1875 accolse neonati abbandonati. Il realismo cristiano non faceva sconti a chi si avvicinava alla ruota: un affresco – che la sovrastava – riportava in cartiglio. la frase del salmo XXVII: Pater meus et mater mea derelinquerunt me, Dominus 
autem assumpsit me (Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto). La  misericordia cristiana aveva però inventato la ruota, che invenzione la ruota, e la ruota faceva in modo che non si potesse vedere il volto di quel padre e di quella madre, il volto e i suoi colori, bianco di paura o di fame, rosso di vergogna o di febbre, livido di peste o di angoscia. Ci si avvicinava salendo le scale di pietra serena, si lasciava il fagottino – talvolta con fra le fasce un oggetto spezzato, come estrema speranza di ritrovamento, alla maniera delle antiche tessere ospitali - si suonava la campanella. Uno spedalingo accorreva, raccoglieva il bimbo e lo curava. Andava così. Veniva generalmente mandato a balia in campagna. E pare che nella seconda metà del Cinquecento si fosse già pensato all’acquisto di una vacca romagnola che dava ogni giorno quattro fiaschi di latte e alla somministrazione ai bimbi “tramite certi bicchierini fatti apposta col pippio”. E quei bimbi portavano il cognome di Innocenti, o Degli Innocenti, un povero nobilissimo blasone che li associava alla famiglia dei piccoli martiri sterminati dalla ferocia di Erode, e che inconsapevoli si offersero alla spada purché il Verbo Incarnato vivesse.



E come quella ruota, ve ne erano molte altre anche solo qui in Italia, a Milano, a Napoli, a Roma (dove Innocenzo III, Papa dal mondo onirico vivacissimo, oltre a sognare di Francesco che sosteneva il Laterano, sognò neonati gettati nel Tevere e ripescati con le reti, e subito aprì una ruota a Santo Spirito in Sassia).

Haim Baharier, nel suo recentissimo libro ‘La valigia quasi vuota’, racconta uno strano episodio. Sua suocera era stata condotta ad Auschwitz, e, assieme ai passeggeri del terribile treno, fu sottoposta a selezione, e quel giorno la selezione era presieduta dal medesimo angelo della morte, Josef Mengele. La sorellina era stata messa nella fila di quelli destinati alla morte immediata, lei in quella degli utili: e tutti ben sapevano cosa sarebbe accaduto sia degli uni che degli altri. Allora la attuale suocera di Baharier uscì dalla sua fila e andò direttamente da Mengele, dicendogli che avrebbe seguito la sorte di sua sorella, pur nella consapevolezza di quale fosse. Mengele allora le disse di portare anche la sorella nella fila dei potenziali sopravviventi. “L’irrisorio di Mengele aprì la porta a nuove generazioni, inavvertitamente”. E se il gesto dell’angelo della morte, provocato da una bimba impaurita ma ardita e “più potente dei demoni” che altroché se in quel luogo vegliavano e agivano, ha dato vita a generazioni, a nomi, a figli, a biografie, quanto più dall’irrisorio dell’abbraccio di queste ruote – dove forse erano gli angeli a vegliare - sono sprigionate stirpi, gli Innocenti, i Degl’Innocenti, i Colombo, i Diotallevi, i Proietti, e quant’altri trovatelli figli di m(ater)ignota a cui la carità della Chiesa donava non solo il nome, ma il cognome, il cibo, i panni, l’educazione, ah e non dimentichiamo gli Esposito, perché senza la Santa Casa dell’Annunziata a Napoli non ci sarebbero stati gli Esposito (esposti alla misericordia della madre di Dio), e magari neppure Roberto Esposito, filosofo della communitas.

Ora le ruote non ci sono quasi più, e nei rari casi in cui vi siano hanno dentro una culla riscaldata, assistenza sanitaria immediata, eccetera. In Italia sono usate ormai poco, in altri paesi del mondo molto di più. Perché se è vero che si può partorire in modo anonimo in ospedale, molti neonati finiscono comunque nei cassonetti, magari per timore di un rimpatrio coatto.


Ma, nel loro palazzo bianco, nella loro stanza moquettata di Ginevra (secondo Andrè Frossard il diavolo abita precisamente a Ginevra: “Mi piace” dice il demonio “questa città dalle tempie grigie, il suo getto d'acqua che non battezza nessuno, il battito sotterraneo delle sue mandibole bancarie, il lieve mormorio dei suoi orologi al quarzo, che fanno sentire alle orecchie altrimenti distratte l'impercettibile gemito del tempo ridotto alla confessione cifrata della sua lentezza e della sua vanità”), i diciotto esperti, le undici signore e i sette signori del Committee, eh, loro sono deeply concerned per questa vicenda delle ruote. Oltre che per tutte le altre cose che la Chiesa fa, meritandosi le accuse di gravi violazioni alla Convenzione sui Diritti del Fanciullo. E il Committee ha chiuso i fascicoli e lasciato la sala il 31 gennaio, il giorno in cui la Chiesa di Roma festeggia san Giovanni Bosco, sacerdote, sognatore, un po’ sciamano, educatore, fondatore dei Salesiani, grazie ai quali una moltitudine di bambini ha avuto in dono il futuro. Grazie al quale in tanti pomeriggi estivi domenicali azzurri e lunghi, all’oratorio, tanti anni fa, tanti ragazzi persi nel cortile della loro adolescenza solitaria e trasognanti il treno dei loro desideri trovavano almeno un prete per chiacchierar.

mercoledì 5 febbraio 2014

Capitale divino - Povero epicedio per Eugenio Corti, brianzolo

No, questo pezzo lo scrivo così, senza pensarci, senza rileggerlo, se vengono degli errori pazienza. E sì che stamattina ho parlato di morte. L'analista, antichissimo, aveva un funerale e ha anticipato la seduta. Gli ho detto che mi dispiaceva per la sua perdita, e lui 'Eh, alla mia età, è come il gioco degli scacchi. Rimangono sempre meno pezzi sulla scacchiera, fino a che anche il Re viene 'mattato' '. 'Se è per questo' gli dico io 'ci sono delle partite in cui il Re subisce matto in poche mosse, mentre tutti i pezzi sono ancora sul tavolo: e di solito accade per mano della Regina'. Inizia un flusso associativo che non dirò, ma che ovviamente passa dal Settimo Sigillo, e dalla nota partita a scacchi contro la morte.

Poi, tornato a casa, apprendo che ieri, in una serata brianzola piovosa, una di quelle serate brianzole scure e piovose che sono proprio così brianzole, ossia così comuni, così adatte a stordirsi di vino, a assopirsi di treno, a ammazzarsi di lavoro o a chiedere in ginocchio il senso e la verità di Tutto, in una serata brianzola che Virzì non ha mai visto, essendo così comune, Eugenio Corti è morto, a Besana Brianza, proprio magari mentre passavo io tornando dal lavoro.

Io il Cavallo Rosso - che è un Guerra e Pace italiano - non l'ho letto in Brianza. L'ho letto nella bassa milanese, nelle stanze di una vecchia cascina fatta monastero benedettino dall'energia di un vecchio monaco e di un pugno di ragazzi.. Era tanti anni fa, ancora si poteva stare nelle grandi stanze adibite a celle, e in ogni cella c'era un Congdon, e la cosa strana e bella è che non è che c'era solo un Congdon in ogni stanza, ma se andavi in cappella c'era proprio Congdon, il grande artista, coi suoi occhi luminosi, e lo potevi salutare, e ti sorrideva, parlarci non tanto perché era molto silenzioso. Un mio amico, uno dei più cari, nato a Napoli ma più brianzolo di tutti i brianzoli che io abbia mai conosciuto, tanto da aver fatto innamorare con disperata tenacia una donna che della Brianza è una vera incarnazione, ecco, questo mio amico mi ha dato quel librone, lui naturalmente lavorava nella cella, si era portato uno dei primi PC trasportabili, bianco, enorme, un bestione, con un monitor piccolo piccolo a fosfori verdi, però lo sapeva che io invece non studiavo, e per dare una stampella al mio divagare, credo, mi ha dato il Cavallo Rosso.

E io ho letto quella grande epopea sdraiato sotto al Congdon che c'era nella mia stanza, fra le rogge tra Buccinasco e Binasco. L'ho letto così, tutto d'un fiato, tra un Ora Terza e un Vespro, tra un Mattutino e una Messa, tra una camminata fra i campi di soia conversando con un monaco (brianzolo) che mi raccontava della sua vocazione, e di quando andò in montagna sapendo che era l'ultima volta che ci andava, e godendola proprio perché l'ultima, e io gli dicevo invece che se mi fossi tuffato in mare sapendo che era l'ultima volta che ci nuotavo sarei come morto, sarebbe stata proprio una morte, ma lui mi rispondeva che nelle giornate limpide era tanto contento di vedere le Grigne e il Resegone, anche se da lontanissimo.

L'ho letto, e mi era piaciuto tanto, però non proprio tantissimo, non perché si vedeva che Corti odiava i toscani ( perché saccenti ma stupidi, spacconi nella vita ma codardi in battaglia, e ignobilmente bestemmiatori), ci mancherebbe, non per quello, anzi per quello io lo condivido. Ma perché i suoi personaggi erano tutto bene e tutti Bene, non peccavano mai, neppure nell'amore peccavano, neppure nella guerra peccavano, neppure nella ritirata di Russia o nelle camminate sulla spiaggia con la fidanzata che sono pericolose e difficili uguale, anche se più corte di solito, ma puoi morirci lo stesso di fuoco e di gelo, e io mi dicevo che era impossibile, come facevano a essere così integri, così retti, e infatti ero e sono un toscano. Eugenio Corti aveva questa idea dentro, un'idea d'ordine, un'aspirazione alla rettitudine, non sopportava la rivolta, il grido, la bestemmia, per questo non potevo rispecchiarmi in Michele, in Stefano o in Manno, anche se avrei voluto, Dio lo sa se avrei voluto. Infatti l'unica volta che l'ho visto, Corti, lui era vecchissimo, io mi sono presentato come ex soldato e docente della Cattolica, ma ho taciuto sull'origine toscana. Eugenio Corti diceva "Dopo anni di scemenze dei fascisti, nel dopo-guerra ci hanno proposto come modello il Partigiano, invece dell’Alpino. E’ stato un peccato. Intendiamoci, in sé non era un modello negativo, ma era un ribelle. Ma una volta ristabilita la democrazia, a cosa bisognava ribellarsi? Non a caso, di lì in avanti, ci si ribellò a scuola, famiglia, genitori… Un insieme di pensiero e di condotta non positivo. Invece, l’Alpino…". Ecco: un toscano a queste cose non può crederci, un toscano è partigiano prima ancora di avere un'idea, e spesso anche senza mai averne una.

Se ne vanno i pezzi della scacchiera della giovinezza. Eccoti Eugenio Corti alla tua personale apocalisse, ora hai incontrato anche l'ultimo dei Quattro Cavalieri. Ma la Brianza rimane grigia e indaffarata, pochi magari si sono accorti che sei andato via, con l'archivio immenso dei tuoi ricordi. Chissà se è avvenuto anche per te quel capovolgimento e quegli incontri che hai descritto alla fine del tuo librone letto in un'estate di un milione di anni fa - tra campi, monaci, trattori, canti gregoriani, amici veri e un futuro tutto da scrivere - da un Leonardo che più non esiste, se pure è esistito mai. Quella ultima pagina, quando Alma, la moglie del protagonista Michele, che poi saresti tu Eugenio Corti, precipita in auto dalla strada che porta da Lecco a Sondrio, piombando nel lago.

"La donna udì lo stridore del metallo contro i ritti di pietra del parapetto e urtò in pari tempo con terribile violenza il capo. Dopo di che non si accorse più di niente; non si accorse che la macchina, sfondato il parapetto, precipitava nell'acqua nera. Ebbe solo una lontana, lontanissima percezione di freddo, e fu la sua ultima percezione quaggiù.
Sulla sua anima, come due falchi, piombarono ad ali chiuse i due angeli: il suo e quello di Michele, pronti all'ultima difesa contro eventuali insidie all'ingresso del mondo degli spiriti. Ma non ci furono insidie.
Mentre, rotolando lentamente sott'acqua, la macchina col corpo ormai senza vita d'Almina precipitava giù giù verso il fondo del lago, la sua anima e i due angeli affiorarono insieme nell'aldilà, nel mondo per noi inimmaginabile perché fatto unicamente di spirito. Sorridendole senza sorridere, e parlandole senza parlare, gli angeli - splendide creature a mezzo tra raggi di luce e soldati - diedero il benvenuto ad Alma: <Sei qui, gattino di marmo?> la accolse all'incirca, con molta familiarità, il suo (e chi mai aveva avuto con quella creatura più costante familiarità di lui, l'angelo invisibile, messole accanto da Dio ancor prima che nascesse?) Scorgendo negli occhi non più materiali di lei la domanda: <E Michele? Cosa ne sarà di Michele senza di me?> l'angelo accentuò il sorriso in modo incoraggiante. <Verrà anche il suo momento> le rispose con piglio più soldatesco l'altro angelo: <questione solo di poche decine di anni, per chi sta qui lo stesso che niente.>
In un ultimo residuo di comportamento terreno, Alma sospirò.
Intanto intorno a lei cominciavano a configurarsi altre presenze spirituali: si accorse anzi che una di queste le stava venendo incontro. Era lo spirito d'una donna di incomparabile bellezza. Almina spalancò i suoi occhi nuovi: <Marietta!> esclamò: <Oh, Marietta, sei tu?>
Era proprio Marietta 'delle spole', che tante e tante volte aveva accompagnata Alma infante in chiesa o a passeggio lungo le strade acciottolate di Nomana, tenendola per mano. Non aveva più i capelli repulsivi né la faccia gialla né le gambe storte, aveva invece ancora - se pure non più fatti di materia - i begli occhi d'agnello che sulla terra sembravano così fuori posto nel suo povero viso: ma non erano fuori posto qui, dopo che tutto il resto della sua figura - pur senza propriamente cambiare - si era per così dire adeguato ad essi.
<Benvenuta Almina> la salutò con gioia Marietta: <Benvenuta.>
<Nessuno, a pensarci bene, era più degno di te del paradiso> mormorò estatica Alma.
<Oh, se è per questo siamo qui in tanti, in tanti> disse Marietta con voce angelica (ma che ricordava ancora in qualche modo la sua voce sempre un po' spaventata d'una volta) <perché non uno di quelli per cui Cristo è morto si perde, Alma cara, non uno; se non vuole. Vedrai tuo cugino Manno, e Giustina, e Stefano, col loro padre Ferrante, vedrai il Foresto, e suor Candida, e Romualdo, e anche il Praga d'Incastigo che - grazie alle preghiere instancabili di don Mario - il demonio non è riuscito a tenere soggiogato fino alla fine.>
A questo punto l'angelo di Michele fece un gesto circolare di saluto: <Beh, io devo tornar giù> disse con un mezzo sospiro, <il mio posto è ancora là>, e schiuse le ali per lanciarsi nel tragico mondo degli uomini."

E questa è la fine del tuo Cavallo Rosso, Eugenio Corti, la pagina 1274, e dico 1274. Ti auguro un paradiso così, semplice così, povero così, con gli angeli col cappello con la piuma degli alpini e i beati tutti del paese e delle cascine brianzole, e con lo spirito celeste che sospirando - o piuttosto bofonchiando - dice <Beh> (avete letto? dice proprio <Beh>), saluta e torna a laurà. Te lo auguro in questo post, scritto ma non rivisto dall'autore (toscano: pigro e codardo come quelli della sua terra).