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giovedì 3 aprile 2014

[Un anno dopo] Penthos: il Grande Canone

Non cronologicamente un anno dopo, ma liturgicamente sì. E anche quest'anno orme di sole in movimento, ma i volti delle icone risplendevano nel loro non esserci.

April 19, 2013 at 3:50pm

Della mia esperienza del Grande Canone (letto interamente nel mattutino del giovedì della quinta settimana di digiuno) fa parte anzitutto l'osservazione di una macchia rettangolare di luce, divisa da un'ombra cruciforme, il tutto generato dal sole ormai piuttosto basso, che passava dalla finestra collocata sulla parete di fondo della chiesa (esposta a nord ovest) e illuminava l'angolo nordorientale della stessa. Vedere questa macchia di luce muoversi lungo la parete, passar sotto san Serafino di Sarov e san Nicola di Myra, affrontare l'angolo,trasferirsi sull'iconostasi, incendiare l'icona della Trasfigurazione e lambire quella della Madre di Dio, donando riflessi intimi all'oro e profondità oscure allo sguardo, fino a dissolversi quasi all'improvviso nel grigioazzurrino del tramonto primaverile. Stava a significare, per chi la guardava, la rotazione lenta e inarrestabile del pianeta, carezzata dall'immobilità solare. Stava a significare il trascorrere di un tempo considerevole, durante il quale due chierici hanno cantato la forza poetica di queste nove Odi (e dici che bello sarebbe udirle in greco, con la forza della metrica e delle rime), mentre assieme a un gruppo di fedeli molte molte molte volte si sono inchinati fino a terra e prosternati in silenzio.

C'è un esercizio presente in quasi tutti i corsi di autostima di matrice americana: consiste nel porsi davanti a uno specchio e compiacersi di sé. Dirsi cose tipo: "you are amazing, you are good enough, you are a beautiful and wonderful person". Ecco, il Grande Canone è esattamente l'opposto. Davanti allo specchio dell'umanità perfetta del Cristo (eschatos Adam), davanti al purissimo splendore della Vergine, davanti alla trasformazione drammatica della donna di fuoco, nudità e deserto Maria Egiziaca, medianti le parole di incredibile bellezza del monaco di san Saba Andrea, futuro vescovo di Creta, ti viene fatto capire senza mezze misure che non sei affatto amazing, che non sei proprio good enough, e che sei tutt'altro che beautiful e wonderful. Nondimeno (anzi: proprio grazie a questo) alla fine ti senti in pace e libero come raramente ti accade.

Strofa dopo strofa, tropario dopo tropario, con incedere incessante, con spregiudicata spietatezza, con terribile lucidità Andrea raccoglie frammenti di storia sacra e te li pone fra le mani, e a volte sono taglienti come lame, a volte così ardenti da ustionare, a volte così spaventosi, a volte così commoventi. Ti è chiesto di comporre con questi pezzi uno specchio, e la tua immagine, che vedi a poco a poco formarsi, ti toglie il fiato. Non hai speranza. Eppure.

Adamo il progenitore, Caino il fratricida, Lamech autore del terribile canto della vendetta, l'umanità sommersa dal diluvio, Cam il parricida mediante il disonore, Esaù che svende la benedizione, Ruben l'incestuoso, i figli di Giacobbe che vendono il fratello, Efraim la tribù idolatra, Davide assassino e adultero, Salomone che preferisce le meretrici alla Divina Sapienza, Roboamo, Geroboamo, Acab, Ghiezi il bramoso servo di Eliseo, Ozia il sacrilego, colpito dalla lebbra. Questi i pezzi dello specchio: li vedi bene? Eppure tu - dice con crudo realismo Andrea di Creta - sei molto peggio. Guardati in loro e te ne accorgi.

Allora ti afferri al filo di speranza che ogni tanto affiora in quel guazzabuglio ingarbugliato di umanità ferita e colpevole. Un filo fatto di lacrime, di ripensamento, di lasciar-la-presa, e di lacrime, di cambiare strada, di chieder perdono, di combattimento, e di lacrime e di lacrime e di lacrime. "Penthos", il Grande Canone è detto di 'compunzione',  traduzione appunto di penthos, parola di origine medica, che vuol dire dolore acuto, e sensazione di mancanza di qualcosa di vitale. Penthos, che appartiene al medesimo campo semantico di pathos, e di paskhein, da cui alcuni Padri, maestri di creatività etimologica, hanno fatto derivare - pensando all'agnello immolato - 'Pasqua'.

Poi esci, e pensi che - anche se avrai dimenticato le parole - quelle tue prostrazioni nella sera saranno qualcosa che potrai ricordare, quando ti troverai davanti alla terribile Bellezza, e le ginocchia ti si piegheranno per il timore.

[nella fotografia: Sky Window, installazione permanente, Villa Panza di Biumo a Varese, 1976. Ambiente adatto alla ricerca di un 'penthos' cosmico e apofatico']