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sabato 25 marzo 2017

In Annunciatione Beatae Mariae Virginis (con più di sette motivi per non fidanzarsi con gli dei)

Bisognerebbe guardarci bene – noi mortali – dall’interagire con gli dei e con le dee, e soprattutto dall’avere storie d’amore con loro.

Ci sono due signori colti, un po’ anziani, in visita alla Galleria Borghese di Roma. Sono fermi davanti al gruppo marmoreo di Gian Lorenzo Bernini, dove Apollo cerca di ghermire Dafne, ninfa bellissima e figlia del dio-fiume, Fluß-Gott des Bluts, dove lei cerca di sottrarsi, e dove il padre-fiume la trasforma in albero d’alloro, ed ecco ha già un piede radice e le palme foglie. I due signori guardano la statua in silenzio. Poi passano all’altro capolavoro del Bernini, dove Proserpina figlia di Giove e della dea delle messi, mentre raccoglie fiori, viene afferrata dal terribile Plutone signore degli Inferi, e dove lei è come una lepre inseguita dal cupo cacciatore e dal tricipite cane Cerbero, e dove lui l’ha già presa, e lei è già sua, e sotto le dita del rapitore cede la carne morbida della sua coscia, e tutto questo è candido marmo durissimo morbidissimo. Uno dei due visitatori, con l’accento francese, dice all’altro: “Due capolavori dell’arte occidentale. E – in effetti – rappresentano due stupri…”

L’altro è uno psicoanalista, e ricorda allora che Freud - in qualche punto della sua sterminata opera - sostiene che una delle funzioni delle rappresentazioni religiose consiste nel poter attribuire alle figure divine, notoriamente al di sopra del bene e del male, degli atti che noi vorremmo compiere, ma non possiamo (perché c’è il super Io e l’etica e le relazioni e la legge e la polizia e la rispettabilità e insomma queste cose non si fanno). In realtà , io vorrei prendere la giovane vicina di casa che vedo uscire al mattino con i capelli color miele e i pantaloni strappati sul ginocchio a mostrarne la forma perfetta rivestita di pelle dorata, vorrei trascinarla in cantina e possederla. Naturalmente non posso, non devo, e la parte più alta e nobile di me neppure vuole farlo. Ma il desiderio brado – in me - sogna. E il sogno assume la forma del vecchio Plutone che è preso di passione per la figlia di Demetra, e – con la potenza vigorosa e pre-morale tipica degli dei – la conduce nell’abisso dove vive e la fa sua.

Così fanno gli dei. D’altra parte non ce li vedi – gli Olimpi (ma neanche i più colorati e polimorfi cugini indiani) – corteggiare l’amata, mandarle i fiori, portarle i cioccolatini, sedersi sulla panchina del parco a guardare le stelle, leggerle delle poesie, essere da lei presentato alla famiglia, frequentare il corso per fidanzati della parrocchia, andare a scegliere la lista di nozze e le bomboniere di ceramica col cacciatore e il bracco, sposarsi in chiesa con l’organo che suona l’aria sulla quarta corda di Bach, ricevere i chicchi di riso in faccia, dopo la festa attraversare la soglia di casa con lei in braccio, poi i preliminari, e poi il sesso del sabato sera. Gli dèi quando toccano, toccano così, toccano forte (noi arriviamo fin qui, / questo è nostro, di toccarci così, più forte / ci gravano gli Dei. Ma è cosa degli Dei, scrive Rilke nella sua seconda elegia di Duino). Gli dei non hanno una psicologia, e quando desiderano il loro desiderio si trasforma in atto. A noi mortali il loro comportamento sembra violento, sprezzante, brutale, ma per loro, i celesti spensierati, non è che la normalità.

Arianna figlia di Minosse, re di Creta, aiuta Teseo a sconfiggere il Minotauro con la famosa vicenda del labirinto, si innamora di lui e con lui fugge verso Atene. Tuttavia commette l’errore di rivelare a Teseo l’intenzione di sposarlo. Credo che le dicerie che vorrebbero Teseo come figlio illegittimo di Poseidone dio degli abissi marini siano false, perché Teseo si comporta in questo frangente in un modo che più umano non si potrebbe. Fa sosta a Nasso, e mentre lei è addormentata, risale sulla nave e salpa via (da cui pare venga l’espressione ‘piantare in (N)asso’. Ridestatasi, Arianna piange tutte le sue lacrime e invoca la morte. Il mito ha diverse versioni e diversi finali, ognuno dei quali potrebbe essere esplorato con molto interesse. Hugo von Hoffmansthal – nel libretto per l’opera Ariadne auf Naxos sceglie il finale più celebre. Giunge Dioniso, la vede e la desidera, ma nel modo in cui un dio vede e desidera, e vuol portarla via.

Dice Arianna:
Lo so, così è laggiù dove mi guidi!
Chi là dimora, tutto presto scorda!
La parola finisce ed il respiro!
Là è il riposo un continuo riposo dal riposo –
nessuno là si consuma nel pianto, –
dimentichiamo ciò che ci affliggeva:
nulla conta di ciò che qui contava, lo so.

E Bacco soggiunge:
Se sono un dio, se un dio m’ha creato,
se le fiamme hanno ucciso mia madre,
quando tra fiamme mio padre le apparve
non mi ha toccato la magia di Circe,
perché sono immune, etere e balsamo
non sangue umano nelle vene mi scorre.
Ascoltami, creatura che ho davanti,
ascoltami, tu che vuoi morire:
le stelle eterne moriranno prima
che la morte ti strappi dal mio abbraccio!

Ai mortali che si innamorano delle dee non va certo meglio. C’è Artemide, la saettatrice, che, in una notte d’arsura in opaca silva Gargaphia, depone le vesti e si bagna nuda in un lago. E c’è il nobile Atteone anche lui a caccia nella selva oscura, con la sua muta di cani addestrati all’uccisione del cervo. C’è uno sguardo, soltanto uno sguardo, fra la dea e il mortale: ma è più che troppo. Egli vede ciò che è oltre la misura di ogni pensiero umano e perde il senno, o lo acquista. E lei, ilare, come un’adolescente timida e divertita, compie il gesto più innocuo che si possa immaginare: raccoglie un po’ d’acqua con la mano e gliela spruzza in volto. Come un gioco benedicente. Ma, sul versante umano, queste gocce assumono il significato di indignazione e di condanna del sacrilegio, ed ecco Atteone trasformarsi egli stesso in preda, in cervo, ed essere divorato dai suoi stessi cani.

C’è poi da notare che il sesso agli dèi piace moltissimo, lo fanno abbondantemente senza riguardo ai sentimenti, alle età, ai contesti, persino alle stesse forme e specie. Ma sembra che piaccia loro un sesso senza procreazione. Quando devono procreare, lo fanno in modo diverso. Atena esce armata di tutto punto dal cranio di Giove, Afrodite sorge dalla spuma del mare.

Anche il dio dei deserti, dei pastori e dei fuochi da campo, il dio che scelse Abramo, Isacco e Giacobbe, non era certo, almeno inizialmente, un tipo raccomandabile. Oltre a mostrare la consueta divina indifferenza verso la sorte umana, non aveva neppure la raffinatezza del club degli olimpi. Era sanguigno e scabro come la terra in cui si aggirava. Gli piaceva l’odore della carne arrostita, e non credo sia completamente escluso dagli studiosi che abbia domandato a qualcuno dei suoi primi devoti anche qualche bambino. Si dice anche che abbia avuto una moglie, Asherah, Grande Madre e Regina dei Cieli. Però, col tempo, è cambiato. Tutta la narrazione biblica è la storia del suo addomesticamento da parte degli uomini: lenta, lentissima, e non senza svolte e passi indietro. Grazie alla relazione con quei pastori, egli ha a poco a poco scoperto di essere lui stesso il D-o, l’Origine radicale, il Principio e il Destino di ogni cosa, il Reggitore dell’Universo. Poiché noblesse oblige, dovette rinunciare a alcuni suoi comportamenti non compatibili: smettere di essere un giovane e focoso capo militare alla conquista di Canaan e incamminarsi (forse con un poco di malinconia) verso la trascendenza assoluta. Ora: il Totaliter Aliter non poteva godere nello scannare il Gebuseo: quindi perse a poco a poco la primitiva fisionomia per assumere quella solenne e esangue dell’Antico dei Giorni, e alla fine si ritirò nel Qadosh ha-Qodashim, consegnandosi irreversibilmente all’immaterialità e all’irrappresentabilità (gli rimase tuttavia il gusto della carne arrostita che continuò a esigere gli fosse arsa davanti: non si può d’altronde pretendere tutto).

Irreversibilmente irrappresentabile? In un certo senso sì. Ma a forza di stare insieme agli uomini cominciò a voler loro bene. Si poneva un nuovo problema: a innamorarsi degli uomini (ovverosia delle donne) non era l’Adunatore di nembi o Lossia l’arciere o Poseidone signore dei mari, dei terremoti e dei cavalli. Ora il D-o degli dèi, l’al di là di tutto, l’oltre ogni forma, era lui ad amare gli uomini, a volerli salvare dalla morte (gli olimpi ne ridevano, perché non la capivano), a volerli far diventare simili a lui. Per far questo decise di diventare come loro. E fu incantato, lui D-o reggitore delle galassie e delle quattro interazioni fondamentali (elettromagnetica, gravitazionale ed nucleare forte e debole), da una vergine ebrea – avrà avuto sedici anni - che lo aveva servito nel Tempio fino al menarca, e poi era andata in sposa a un giusto in Israele. Ma, anziché piombare su di lei come un falco su una tortora, prese la forma bellissima dell’Arcangelo Forzadiddio, afferrò una verga da pellegrino (ingentilita poi dai pittori in un ramo gigliato) e andò da lei.

La tradizione ortodossa – che è più fiorita e immaginativa della latina, e si rifà ai racconti apocrifi – articola questo incontro in due differenti scene. La prima vicino a una fontana, dove Forzadiddio cominciò a sussurrarle di gioire, perché era benedetta: la vergine è spaventata, cerca e non trova chi le parla così, e corre in casa. Di questo sgomento non c’è traccia nell’iconografia tradizionale, e il dipinto che più ne rende ragione è la celebre Annunciazione di Recanati di Lorenzo Lotto. Ma Forzadiddio la segue, le si inginocchia davanti umilmente, e le dice che avrebbe concepito per la sua parola. Dovrò io concepire per opera del Signore Iddio vivente, e partorire poi come ogni donna partorisce?. Lui, restando in ginocchio, la guarda e sorride: No, non così, Maria! Ti coprirà, infatti, con la sua ombra, la potenza del Signore. Perciò l'essere santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio dell'Altissimo. Gli imporrai il nome Gesù… Questa volta è la vergine a inchinarsi: Davanti a lui è la sua ancella. In me si compia la sua parola.

Forzadiddio la lascia in fretta, ora deve entrare nei sogni di Giuseppe il giusto. Nel grembo di Maria, Santo dei Santi non costruito da mano d’uomo, ma forgiato da D-o stesso, cova la felicità nuova dell’embrione del Teantropo.


Gli olimpi guardarono silenziosi il corteggiamento divino e il successivo concepimento. Eros, in particolare, ne fu molto stupito.


1 commento:

  1. Proserpina e Plutone fantastici ! La mano sulla coscia abbagliante di bellezza.

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