Che a Francesco non piacesse questa cosa delle apparizioni
di Medjugorje, questo lo si sapeva benissimo. Il suo giudizio su di esse è
sempre stato piuttosto sferzante, ai limiti del dileggio. Recentemente, in
un’udienza concessa ai Superiori Generali maschili, è tornato a ironizzare
sulla Madonna capufficio delle Poste
che manda un messaggio al giorno. Curioso semmai è che, nel corso della
medesima udienza, il Papa abbia raccontato come nella sua camera conservi una
statuetta di san-Giuseppe-che-dorme (e che sogna, aggiungo io, soprattutto che
sogna, Giuseppe è nomen/omen di gran sognatori), e come – quando è oppresso da
qualche problema – lui scriva un biglietto e lo metta sotto tale statuetta, in
modo da riposare tranquillo e senza angoscia. Chissà se - sotto qualche cappa,
qualche lana monastica, qualche scapolare, qualche saio – qualcuno dei presenti
si è reso conto di questa deliziosa flagrante contraddizione relativa al
sistema postale (e ai postini) da e per l’Oltremondo.
Monsignor Ratko Peric, vescovo di Mostar (la diocesi che
include Medjugorje) adesso riafferma la sua netta contrarietà rispetto a quanto
sta avvenendo tra il brutto chiesone intonacato di bianco e il montarozzo
sassoso di nome Podbrdo. Al netto delle ostilità che da tempo immemorabile
vedono contrapposti clero diocesano e frati francescani – gelosi custodi della
chiesa delle apparizioni – il vescovo così pensa dell’apparizione:
- è una
figura ambigua;
- non
parla mai per prima;
- ride in
maniera strana;
- a certe
domande scompare, poi ritorna;
- obbedisce
– pur controvoglia – ai veggenti e certe volte addirittura al parroco;
- le
tremano le mani;
- certe
volte ha con sé un misterioso bambino che alcuni veggenti scorgono e altri no;
- da tempo
promette un segno eclatante e irrefutabile, ma non mantiene mai tale promessa;
- provoca
svenimenti, nervosismo, e altri fenomeni bizzarri nei veggenti;
- certe
volte si lascia perfino toccare – l’espressione è toccamenti scandalosi – non solo sul mantello, ma anche sul suo
stesso corpo.
Insomma, conclude il prelato, si tratta di un gioco magico e non del Vangelo di Cristo.
Devo ammettere di essere stato una volta a Medjugorje, e fu
quando non era ancora molto famosa, agli inizi degli anni ’80. Ah, io ero così
diverso da come sono adesso – dentro e fuori – che mi sembra davvero di parlare
di un’altra persona. In piedi, nella sacrestia, quando i veggenti caddero in
ginocchio, per quanto mi trovassi vicinissimo non provai alcuna emozione
significativa, anche se non ebbi la sensazione di assistere a una recita. Uno
del nostro gruppo era amico di una delle veggenti: e così trascorsi un
pomeriggio a casa di lei bevendo succo di frutta e tè freddo e giocando nel
giardino. Mi sono preso perfino un secchio d’acqua che la ragazza rovesciò
ridendo da una finestra del piano superiore, il che mi fa appartenere a pieno
titolo al club piuttosto esclusivo degli esseri umani colpiti da un gavettone
di una veggente. Sono salito sulla montagna di notte a pregare: anche lì nulla
di straordinario. Le benedizioni di padre Jozo – con tanto di contorsioni e
svenimenti – mi provocarono invece una sensazione di nausea (e un po’ di
sentore di zolfo), mentre non posso negare che lo schieramento di sacerdoti
confessori sul lato della chiesa, all’aperto, e mai che fossero senza un
penitente genuflesso vicino, fosse una cosa mai vista e piuttosto toccante.
Quanto ai messaggi, già allora erano banalissimi ma innocui, esortazioni
semplici alla penitenza, al rosario, al digiuno, solo leggermente intimidatori.
Niente a che vedere con gli abissi tremendi (e con più di un risvolto politico:
la guerra, il bolscevismo, il nazismo) delle apparizioni di Fatima, o alla
sorgente di inspiegabili guarigioni (nonché conferma di un controverso dogma)
che fu quanto avvenne a Lourdes o alle spaventose vicende de La Salette ("Non riesco più a trattenere il braccio vendicativo di mio Figlio!") che tanto affascinavano il cupo fiammeggiante Leon Bloy. Complessivamente tornai a casa persuaso che,
se non era diabolica, era comunque cosa sciocca e di scarso interesse. Ma
ero giovane. E rigido. E – soprattutto – non ancora mai stato in India. Perché
in India avrei scoperto cose molto importanti.
Per prima cosa ho imparato che il sacro è una materia
viscosa e appiccicosa, è una marmellata di senso che nutre e assieme
impiastriccia. Il sacro è denso e scuro come il sangue, non puro e trasparente
come l’acqua. Il suo contatto provoca nausea e estasi assieme. Il sacro precede
il divino nell’esperienza umana, e – per parafrasare un famoso frammento di
Eraclito – è giorno-e-notte, estate-e-inverno, guerra-e-pace, e muta come il
fuoco quando si mischia ai profumi odorosi, prendendo di volta in volta il loro
aroma; l’uomo ritiene giusta una cosa e ingiusta l’altra, per il sacro tutto è
bello, buono e giusto. Il sacro non è presentabile in società, neanche – e
particolarmente – nelle società religiose, per quanto ciò possa apparire
paradossale, e ciò esattamente a causa di questa sua natura ambivalente e
talora indecorosa e indecente.
[Excursus: un giorno ebbi l’occasione di ascoltare lo
scrittore e studioso di cultura sarda Bachisio Bandinu. Raccontava di quando –
per dilettare i turisti dei ghetti per
ricchi della costa nord dell’isola – un’amministrazione comunale di una
cittadina molto glamour ebbe l’idea di invitare i Mamuthones, figure terribili
della Sardegna profonda, esito dell’imbestiamento sacro – ottenuto rivestendosi
di maschere, pelli, cinghie e campanacci - in onore di Dioniso o di numi
nuragici ancora più antichi e misteriosi. La speranza era quella di offrire ai
ricchi villeggianti una sfilata di tipo carnevalizio, seppur fuori stagione, e di
fargliela godere in tranquillità, mentre loro sorseggiavano il mirto o il
vermouth nei dehors dei localini à la page. Fino a un certo punto andò bene.
Poi accadde qualcosa di strano: Dioniso, o l’arcaico nume, si rese realmente
presente nei figuranti, e la sua manifestazione esplose in violenza e furore.
Il clima cambiò d’improvviso, non si vide più l’acqua turchese nelle baie dalla
sabbia fine e candida, si velò il sole e il cielo virò nel cupo, addio
porticcioli fighetti con gli yacht e le boutiques con i marchi prestigiosi. L’ira
del dio – o sarebbe più giusto dire la sua misericordia - si riversò nelle strade, rovesciò i tavoli,
spaccò le vetrine. I villeggianti si rifugiarono negli hotel e si chiusero
nelle camere, mentre la polizia cercava di mettere ordine nella disordinata
danza di ciò che era ormai tutto fuorché un carnevale. Non si convoca il sacro
senza esporsi al rischio della sua imprevedibilità, recando sempre con sé il
sacro il suo aspetto perturbante]
Ma in India ho appreso anche altro. E cioè che esiste tutto
un popolatissimo mondo sospeso tra l’essere e il non essere. In India questo è
facile da capire, perché l’induismo medesimo nasce dall’impatto tra l’astratta,
rigorosa, luminosa, diurna, desertica, sacrificale visione vedica (recata dai
bianchi, nordici, ariani conquistatori provenienti dall’Iran) e i misteriosi
culti dravidici del sud: scuri, sanguinosi, di foresta, di fiumi, di giungla,
di fiere, di notte. Tale scontro geologico-spirituale ha sprigionato un intermondo
multiforme, multicolore, inclusivo, pieno di dei e dee dai mille volti e dalle
centomila braccia, ma ognuno di essi soglia, porta, accesso al divino purissimo
e quintessenziale, senza immagine e forma o dualità. In questo intermondo
l’indiano si muove con disinvoltura sorprendente, non avendo una concezione
digitale (on/off) dell’esistere, ma piuttosto l’esperienza di un continuum
analogico.
Ciò che in India è palese, tuttavia, accade ovunque, e
l’intermondo cristiano – per esempio - è policromo e interessantissimo. Beninteso:
gli abitatori di questo luogo intermedio non sono totalmente assimilabili – non
so – agli archetipi junghiani o all’inconscio collettivo. Essi hanno una forma
di esistenza parzialmente indipendente dalla psiche di chi interagisce con loro
vedendoli, parlandoci, pregandoli, sognandoli, a volte avendoci relazioni
sessuali (come accadeva frequentemente nell’epoca classica in occidente e
tuttora accade in oriente), a volte avendo a che fare con loro in modi ancora
più strani (l’incantevole Gemma Galgani aveva l’angelo custode che le preparava
il caffè, e soprattutto che le recapitava la posta al suo direttore spirituale
(anche qui la posta: ma è più che naturale che gli intermondiali abbiano la
vocazione mercuriale di facilitare le comunicazioni e le connessioni). Essi
sono il frutto di un incontro: Dio soffia sulla ribollente, greve – e talora
malsana - palude del sacro che c’è nell’universo, e il suo soffio anima un’infinità di forme divine che poi vivono tra gli uomini e danzano con loro.
Ma come gli uomini, spiriti incarnati o carni spiritate, non possono
prescindere dalla pesantezza e dalle limitazioni dei loro corpi, così tali
forme non possono interamente liberarsi dalla viscosità carica di ambivalenza
che caratterizza il sacro della cui stoffa son fatte: e questo spiega il senso
di disagio che ci prende quando si manifestano, come se fossimo al cospetto di
qualcosa che non è fatto solo di luce. La più vertiginosa anima mistica del
Novecento, Santa Teresa di Lisieux (e dico del Novecento ben consapevole che ne morì sulla soglia) ottenne da una
di tali forme divine la liberazione da una malattia chiaramente psicosomatica:
la Vergine infatti le apparve e lei fu guarita. Bambina, confidò alle sorelle
che aveva visto. Ma era una bambina dallo spirito lucido e tagliente come una
spada, e fino alla morte ripensò a questo contatto dubitando, soffrendo, perfino
autoaccusandosi di menzogna. Lei cercava altro, e le fu dato: la nudità del Dio
al di là dell’Essere.
Il vescovo di Mostar tenta un mystical profiling: la donna che trema, che ride, che si fa toccare
le membra, che si nasconde, ecco: questa donna non sembra corrispondere al
profilo della Vergine Maria. Che cos’è dunque? Un gioco magico, tuona il prelato, intendendo screditare. Ma il gioco
magico è bellissimo, ed è bellissimo quando Dio fa l’illusionista e gioca con
le forme da lui stesso inabitate per potersi, nel rivelarsi così, nascondere
ancora.
Nel frattempo questa vicenda creerà un grattacapo al Papa.
Il quale, prima di addormentarsi, scriverà un biglietto con scritto
‘Medjugorje’ e lo infilerà sotto la statua di San Giuseppe che dorme, e lui, abitante dell’intermondo esattamente
come la Vergine che ride , troverà il
modo di occuparsene.
Ignoravo che Teresa di Lisieux avesse goduto di un apparizione guaritrice della Madonna.
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