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sabato 29 aprile 2017

Quoniam dilexerunt multum. Prima strana coppia: Maria e Zosima

Zosima è monaco, monaco perfetto, primo della classe dello spirito, stacanovista dell’ascesi, valedictorian del monastero; nasce santo e poi non pago lo diventa anche; non commette mai peccati, osserva acribicamente ogni minima regola, e dove non ci sono regole ce ne mette lui di rigidissime; anno dopo anno e sono già cinquantatre, giorno dopo giorno e sono già diciannovemila, ora dopo ora e sono già cinquecentomila, istante dopo istante e sono già infiniti, medita la Scrittura, apre la bocca e il cuore a una salmodia ininterrotta, chiude le mani e la mente nell’incessante lavoro dell’intreccio dei canestri; quando dorme, e dorme pochissimo, sogna di salmodiare, sogna di lavorare.

Zosima è monaco, monaco perfetto ma non contento, possibile che sia tutto qui, tutto in questa osservanza, tutto in questa perfezione, possibile che non ci sia altro da imparare, possibile non ci sia oltre dove andare. Lascia il suo monastero per cercare nuove sfide alla sua volontà ascetica, raggiunge un cenobio presso il fiume Giordano, e ivi trova tanti altri se stesso; qui sono tutti perfetti, sempre a salmodiare, sempre a lavorare, pochissime parole e mai una oziosa, pochissimi pensieri e mai uno al denaro o all’amore ma solo al cielo; hanno abbandonato la vita e i suoi dolori, hanno scelto la morte al mondo, i loro corpi assottigliati dal digiuno sono la pura occasione perché l’anima si trattenga a fare vita quasi angelica prima di volar via in un battito impercettibile d’ali.

Zosima è monaco, monaco perfetto ma non contento, ora fra altri monaci perfetti ma che siano contenti o meno non lo si sa. Arriva la Quaresima e ognuno di loro si fa un fagotto di poche cose e pochissimo cibo e si inoltra solitario nel deserto, sempre più al largo nell’oceano rossastro di pietra e sabbia, fino a che anche la minima riva di una relazione orizzontale sia scomparsa e possano essere finalmente soli col Solo. Zosima va anche lui, e il fagotto è più leggero di quello degli altri, ma il cuore molto pesante per quella strana, bizzarra scontentezza. Zosima va e sente la stanchezza, perché le cinquecentomila ore perfette gli gravano sulle spalle come piombo.

Zosima un giorno si sveglia dopo aver dormito qualche ora con le rocce come cuscino a somiglianza del patriarca Giacobbe, ma senza fare alcun sogno; si alza e pensa di stare sognando adesso, invece, perché gli sembra di vedere lontano muoversi l’ombra di un corpo umano: sottilissima, velocissima, leggerissima; Zosima mette le mani a tettuccio sugli occhi, e vede che è una donna, una donna completamente nuda, il corpo annerito dall’arsura solare, i capelli candidi, e fugge via come il vento.

Zosima adesso corre, corre come quando era giovane, come se di ore ne avesse solo centomila, e neanche il peso sul cuore lo rallenta, Zosima corre corre corre e chiede e supplica la donna di fermarsi e di benedirlo, e ogni tanto dà un’occhiata al cuore ed ecco è pieno di una dolcezza inspiegabile e mai provata, e poi non ce la fa più, lei è così più veloce, e cade a terra, e piange, e grida basta, ti prego, benedicimi.

Maria, così si chiama la donna, si ferma, si gira verso Zosima il monaco, e si prostra davanti a lui, chiedendo a propria volta di essere benedetta. Rimangono così per molte ore, che per Zosima si aggiungono alle cinquecentomila ma hanno proprio un altro sapore. Due figurette distese e allungate nel mezzo del niente, nel mezzo del sole e del vento e della pietra. Vento e sole passano su di loro, la pietra invece rimane ferma, ed ecco che è notte. Si leva nel cielo una luna crescente, preludio del plenilunio pasquale: intorno tutto è nitidissimo, con i margini ritagliati su uno sfondo d’ombra. Zosima si inginocchia, Zosima comincia a salmodiare, lui fa solo questo da sempre, però guarda lei, miodio come è leggera, sembra che possa levarsi da terra in ogni istante. Ecco: si è levata: ora danza nel cielo. Zosima pensa ora che qualcuno di molto forte e di molto malvagio lo stia ingannando, non è forse il deserto patria di spettri e di demoni? Chiude gli occhi, mormora un esorcismo, li riapre. Ora la donna è più vicina, non la vede ma ne sente la voce. Davanti a lui tutto è pieno di stelle.

Maria dice: sono una donna. Sono solo una donna: ma battezzata. Sono peccatrice: ma battezzata. Sono brace, sono cenere, sono carne bruciata: ma battezzata. Sono incapace anche di un solo pensiero spirituale: eppure, sono battezzata. Zosima tace, immobile, genuflesso: è solo ascolto. Maria continua: nacqui in Egitto. A dodici anni sono fuggita da casa con una carovana di mercanti che passava. Mi presero con loro, e presero la mia verginità, lasciandomi ad Alessandria. Da allora vivo nell’incendio dei sensi. Per diciassette anni passai da un abbraccio a un altro, da un giaciglio all’altro, dal ricco al povero, dal soldato al mercante al prete. Mi volevano pagare: rifiutavo. Mi facevano regali: li sdegnavo. Mi appagava il piacere di quegli incontri, e insieme non mi appagava. Stretta ad un uomo, pensavo già al prossimo. Un giorno, al porto, vidi ricchi pellegrini imbarcarsi su una nave, cristiani che andavano a Gerusalemme. In cerca di occasioni di piacere, volli andare con loro; non avevo denaro ma il capitano sapeva che avevo modo di pagarlo anche senza. Gerusalemme mi piaceva: prendere al laccio del mio fascino i cuori dei pellegrini e al laccio delle mie braccia e delle mie gambe i loro corpi mi dava una strana soddisfazione, godevo a stare fra il loro desiderio di essere santi e la loro incapacità di esserlo. Però accadde che un mattino – il sole non era ancora sorto – vidi una folla di loro, donne e uomini, affrettarsi alla chiesa dell’Anastasis con la faccia contenta. Li seguii, senza saper perché, ma questa volta non per le mie voglie. Entrarono, e volli seguirli ancora. Fu allora che successe. Io sono stata toccata da mille uomini, so cosa sono i loro abbracci, so cosa sono le loro botte, e so quando non si può dire se siano abbracci o botte: ma questo tocco io non l’avevo mai provato. Era il tocco di un maschio, ma nessun maschio toccava così. Era un muro su cui sbattevo e allo stesso tempo un blocco interiore. Mi respingeva, ed era un attrarmi. Mi lasciava i lividi sul corpo, ma nessuna carezza mi ha mai onorato così. Sta di fatto che io – nella chiesa – non potevo entrare, perché una misteriosa forza me lo impediva. Una immensa Potenza dominava il luogo. Vidi sull’architrave della porta un’icona della Madre di Dio, due occhi enormi e scuri che scintillavano su uno sfondo d’oro. Io, la lussuriosa, osai guardare la Vergine, io, Maria, guardai Maria. Non so dire quanto durò, quando si piange il tempo è come se si curvasse, ma, quando ritornai in me, la medesima forza che prima mi sbarrava l’ingesso del tempio mi ci trascinò dentro col medesimo impeto: mi ritrovai in un istante nel Santo dei Santi, con la mia fronte poggiata sulla pietra del sepolcro, i miei capelli sparsi sulla pietra del sepolcro, le mie lacrime cadevano sulla pietra del sepolcro. Poi, la Forza mi trasse fuori e mi scagliò verso il deserto come si scocca una freccia. Uscii dalla porta che dà sulla strada per Gerico. Io correvo e mi svestivo dei miei abiti colorati eppure un altro correva e mi svestiva. Non so come attraversai il fiume, ricordo solo che mi trovai dall’altra parte. Saranno quarant’anni adesso. Abba.

Maria ora tace, per Zosima è come lo svegliarsi da un sogno. Guarda la donna, il suo corpo nudo e castissimo, modellato dal Sommo scultore con lo scalpello dell’astinenza. L’esperto di ogni strategia ascetica intuisce davanti a lei la possibilità di acquisirne una ancora. Le chiede: Madre, dimmi una parola. Che è il modo usato fra i monaci del deserto per dire: Dammi un consiglio spirituale. Maria non dice nulla, continua a guardarlo con occhi calmi. Zosima insiste: Madre, vedo che sei stata vittoriosa su tutti i demòni. Ti prego, insegnami come.

Maria risponde subito: No, Abba, io non ho vinto niente. La carne che tu vedi brucia ancora di tutte le passioni di prima. E’ come un tizzone imbiancato dal fuoco, basta che ci soffi sopra appena e diventa tutto rosso. Un vento, poi, lo farebbe fiammeggiare. No, Abba, non ho vinto niente. L’altra Maria, però, la santa Vergine, è sempre stata con me, mia compagna di romitaggio. Lei mi dona il pianto, e le lacrime bagnano quei fuochi e li smorzano.

Amma, ma reciterai i salmi – dice adesso Zosima, e torna per un attimo il primo della classe – Amma, ma leggerai la Scrittura! Salmi, risponde calma Maria, non so di cosa parli, padre mio. Ma dopo tanti anni canto al mio Amato con le voci degli uccelli, col bramito delle antilopi, col gracchiare dei corvi, col ronzare degli insetti, col ruggire delle fiere: così io chiedo a Lui che ogni giorno possa ricevere la grande misericordia.

Fanno silenzio. Per quelle due anime la parola è uno sforzo, un salto, e il silenzio il luogo dove subito si ricade e si riposa. Maria si alza, è esile come un soffio di brezza. e fa per allontarsi. Zosima la chiama: Madre, vieni con me, perché fra pochi giorni è Pasqua, madre, vieni con me al cenobio, perché fra pochi giorni è Pasqua, madre, riceverai i Santi e Terribili Misteri, il Corpo e il Sangue del Signore, perché fra pochi giorni è Pasqua. Maria risponde: il mio Diletto mi ha chiamato al deserto, come potrei venire da altri uomini, qui Lui dimora in me e io in Lui, l’amata sta dove l’Amato vuole; ma se tu, Abba, vuoi aver la grazia di portarmi il Divino Calice, tra un anno, a Pasqua, sotto questa stessa luna, io sarò qui a riceverlo e Lui ti ricompenserà grandemente. Zosima si volta, fa per dir qualcosa ma lei è ormai lontanissima, una macchia bruna sulle rocce rosse.

Cinquecentomila ore Zosima ha passato in monastero, ma le poche migliaia di questo anno sono lunghe mille ciascuna. Per la prima volta egli attende qualcosa che non è l’apocalisse, o la propria morte. Attende una donna. Primavera estate autunno inverno e ancora primavera, e dodici lune nel cielo. Zosima chiede all’Igumeno la santa benedizione e si dirige nel deserto stringendo al petto i Santi Doni. Ecco, è sulla riva del Giordano. Lei non c’è – anche gli amori spirituali obbediscono a regole ferree – lei non c’è. Davanti al ritardo di lei crolla come un castello di carte tutta la struttura ascetica costruita pazientemente dal monaco: come in preda alle passioni piange, supplica, e intanto guarda guarda guarda. Si chiede, se verrà, come attraverserà il fiume. Ora lei arriva, e il Giordano non lo vede nemmeno, il suo corpo leggerissimo lo attraversa camminando sulle acque. Nuda, le braccia incrociate sul petto, riceve dalla mano del monaco i santi Misteri, poi si volta e fa per andarsene. Zosima fa qualche tentativo per trattenerla almeno un poco, prova a seguirla, la prega di portare con sé un po’ di cibo. Tutto inutile: non è questione di durata, ma di intensità, nei grandi amori. Maria gli dice soltanto di pregare per lei e di ricordarsi della sua miseria. Gli chiede di ritornare per la Pasqua successiva, e se ne va senza voltarsi. Zosima si ferma, realizzando l’impossibilità di trattenere quella sostanza sottilissima di cui lei è fatta.




Primavera estate autunno inverno e ancora primavera, e dodici lune nel cielo, e Zosima è nel deserto, stessa trepidazione, stessa attesa. Zosima sente il rumore di sassi che si muovono sulle rocce, e i suoi occhi allenati scorgono un branco di capre nubiane discendere velocemente da un costone, un po’ a destra, oltre il Giordano. Due aquile volano ad ampi cerchi nel cielo. Sembra che da sotto ogni pietra un irace si sporga, e proceda saltellando e emettendo piccole grida nella stessa direzione. Ci sono ronzii di insetti nell’aria. E’ come se il deserto fosse diventato improvvisamente vivo. Zosima si cala sulla sponda del fiume aggrappandosi ai ciuffi di ginestra polverosi, e ne risale per un breve tratto il corso. D’un tratto vede, sull’altra riva, un gigantesco leone maschio avanzare lentamente, la criniera appena mossa dal vento; anche il leone lo vede, si ferma, lo guarda per istanti infiniti con i suoi occhi gialli, emettendo un brontolio sonoro e costante: poi riprende la sua strada. I piccoli stambecchi gli danzano davanti, ma il felino non se ne cura, procede quasi con pacatezza, e poi scompare dietro uno spuntone roccioso. Zosima, con i peli del corpo dritti dal terrore, si accorge che in quel punto il fiume è guadabile. Sospira, dà addio alla sua vita terrena (non che gliene avesse mai importato molto), e attraversa il Giordano per seguire il leone. Lo trova disteso, assorto, vigile, accanto al corpo morto di Maria, che è dorato e leggero come una foglia secca.

Quoniam dilexerunt multum: tre strane coppie dell'oriente vicino, più una dell'oriente lontano

Sume citharam, circui civitatem, meretrix oblivioni tradita; bene cane, frequenta canticum, ut memoria tui sit
Prendi la cetra, gira per la città, prostituta consegnata all’oblio; suona con abilità, moltiplica i canti, perché qualcuno si ricordi di te
Isaia 23, 16

Fasciculus murrae dilectus meus mihi: inter ubera mea commorabitur. Dilectus meus misit manum suam per foramen, et venter meus intremuit ad tactum eius. Surrexi ut aperirem dilecto meo: manus meae stillaverunt murra, digiti mei pleni murra probatissima pessulum ostii.
Un sacchetto di mirra l’amato mio per me: tra i miei seni passa la notte. Il mio amato ha messo la mano nella fessura e il mio ventre fremette al suo tocco. Mi sono alzata per aprire al mio amato, le mie mani stillavano mirra, le mie dita mirra purissima sulla maniglia del chiavistello.
Cantico dei Cantici 1,12; 5,4-5)

Gesù parla con severità, nel Vangelo, di denaro e di sesso. Più severamente e ampiamente di denaro che di sesso: e questo potrebbe sorprendere, visto che poi la Chiesa è stata ben più rigida e occhiuta sul secondo. In questi ambiti l’insegnamento di Gesù è rigorosissimo, e niente affatto easy going. Proprio in un solo capitolo di Matteo (il diciannovesimo), prima i farisei gli domandano se sia lecito ripudiare la propria moglie: e lui, appellandosi a ciò che accadeva agli albori della creazione, risponde di no, e che farlo equivale all’adulterio, e i suoi discepoli allora scuotono la testa e dicono che forse è meglio non sposarsi, e lui replica col misterioso detto dei castrati per natura, di quelli resi così dagli uomini, e di quelli che si sono fatti tali per il Regno; pochi versetti dopo incontra il cosiddetto giovane ricco, che vorrebbe seguirlo ma è trattenuto dai molti beni, il giovane ricco, l’unico essere umano di cui viene detto che Gesù lo ama di un amore personale e diretto, il giovane ricco che se ne va via come giovane triste, e Gesù se ne esce con la celebre metafora del cammello e della cruna dell’ago, e i suoi discepoli scuotono ancora la testa e si domandano chi mai potrà salvarsi, e Gesù risponde che ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio. Se però si cerca nel Vangelo come il Figlio di Dio razzolava, oltre che come predicava, vediamo che Egli amava frequentare gente non tanto perbene sia rispetto al denaro (prende un esattore delle tasse dell’occupante romano fra i suoi, va in casa di Zaccheo il truffatore, loda in parabola l’amministratore disonesto, sembra esaltare lo spreco talvolta a scapito della carità verso i poveri), che rispetto al sesso. Anche le donne che Gesù predilige non sono esattamente delle personcine perbene: l'adultera che sta per essere lapidata, e per la quale Egli compie il misteriosissimo gesto di scrivere sulla sabbia chissà cosa; la samaritana al pozzo, che aveva avuto cinque mariti e il cui attuale uomo non è il marito. Ce ne sono poi altre tre, che la tradizione cristiana riassume nella figura di Maria di Magdala, la peccatrice guarita e perdonata, che sarà presente sotto la croce e che danzerà con Lui, nel giardino della risurrezione, la danza meravigliosa del nolimetangere: una che all'inizio della vita pubblica di Gesù, mentre si nasconde da chi la giudica e la condanna, gli bagna i piedi con le lacrime e glieli asciuga con i capelli, ingenerando una diffidenza nel suo ospite Simone, la seconda che nell'imminenza della fine gli cosparge il capo con unguento prezioso, provocando l'indignazione di Giuda Iscariota, la terza - sorprendentemente - la Maria sorella di Marta e di Lazzaro, quella che siede ai piedi del Maestro mentre l'altra lavora e serve, e che neanche il verificarsi dell'episodio più scenografico del Vangelo - quello della rianimazione del fratello avvolto da bende è già in stato di putrefazione - riuscirà a far uscire di casa. Quindi la Chiesa ha indentificato in una prostituta, in una peccatrice, l'archetipo della vita contemplativa. E' una cosa che - come si dice - dà da pensare. La vita contemplativa cristiana non è fatta per chi ha estinto in sé il desiderio, ma per chi ne avvampa. Il desiderio dovrà essere liberato dal Cristo, ma il desiderio liberato non coincide con la liberazione dal desiderio.



Le prime tre coppie di cui sto per raccontare dobbiamo pensarle nel IV secolo, in Egitto, Siria e Palestina: è l'ambito storico in cui sono state elaborate le celebri storie dei cosiddetti padri del deserto. Il cristianesimo è appena diventato 'lecito' nei confini dell'impero, con la conseguenza che non vi sono più martiri, e che la terra non è più irrigata dal loro sangue nutriente e generativo. Nasce la necessità di una sostituzione, e questa è la vita monastica. Si va nel deserto alla ricerca di un martirio incruento. Questi uomini, veri giganti dello spirito, sono degli atleti della mistica, e proprio la loro athlesis li espone al serio rischio di non aver più bisogno di Cristo, di credere di potersi autoperfezionare e autorealizzare. E allora ogni tanto giunge qualche donna a ricordare loro che non c'è compimento, spiritualità, mistica, senza la misericordia di Gesù. Pur raggiungendo talvolta livelli straordinari di ascesi, rimane chiarissima nelle donne del deserto la grazia femminile del loro prototipo, colei che siede ai piedi del Maestro ed è tutta nel suo sguardo e nelle sue parole. Non dobbiamo dimenticare tuttavia che non est masculus neque femina (Gal 3, 28) e che, ad alcuni monaci venuti a visitarla, amma Sarra – una di queste donne – disse: Io sono un uomo, voi siete donne. Risposta strana, forse immediatamente irritante, ma se la si coglie in un epoca in cui la parola uomo alludeva a certe virtù quali la forza, l’autonomia, il coraggio, l’energia, e la parola donna a limiti quali la debolezza, la dipendenza, il timore, si capisce che si tratta di una risposta femminista: per madre Sarra ciò che fa di una persona un uomo (nel senso di essere umano detentore di quelle virtù) o una donna (recante il segno di quei limiti) non è certamente il sesso biologico. È da notare che le vite di queste sante prostitute sono state composte e lette in ambito monastico maschile: servivano a ricordare a coloro che potevano pensarsi perfetti nelle loro grotte e nei loro cenobi che senza quello sguardo non c'è ascesi che valga.