Sume citharam, circui
civitatem, meretrix oblivioni tradita; bene cane, frequenta canticum, ut
memoria tui sit
Prendi la cetra, gira per la città, prostituta consegnata
all’oblio; suona con abilità, moltiplica i canti, perché qualcuno si ricordi di
te
Isaia 23, 16
Fasciculus murrae
dilectus meus mihi: inter ubera mea commorabitur. Dilectus meus misit manum
suam per foramen, et venter meus intremuit ad tactum eius. Surrexi ut aperirem
dilecto meo: manus meae stillaverunt murra, digiti mei pleni murra probatissima
pessulum ostii.
Un sacchetto di mirra l’amato mio per me: tra i miei seni
passa la notte. Il mio amato ha messo la mano nella fessura e il mio ventre fremette
al suo tocco. Mi sono alzata per aprire al mio amato, le mie mani stillavano
mirra, le mie dita mirra purissima sulla maniglia del chiavistello.
Cantico dei Cantici 1,12; 5,4-5)
Gesù parla con severità, nel Vangelo, di denaro e di sesso.
Più severamente e ampiamente di denaro che di sesso: e questo potrebbe
sorprendere, visto che poi la Chiesa è stata ben più rigida e occhiuta sul
secondo. In questi ambiti l’insegnamento di Gesù è rigorosissimo, e niente
affatto easy going. Proprio in un
solo capitolo di Matteo (il diciannovesimo), prima i farisei gli domandano se
sia lecito ripudiare la propria moglie: e lui, appellandosi a ciò che accadeva
agli albori della creazione, risponde di no, e che farlo equivale
all’adulterio, e i suoi discepoli allora scuotono la testa e dicono che forse è
meglio non sposarsi, e lui replica col misterioso detto dei castrati per
natura, di quelli resi così dagli uomini, e di quelli che si sono fatti tali
per il Regno; pochi versetti dopo incontra il cosiddetto giovane ricco, che vorrebbe seguirlo ma è trattenuto dai molti
beni, il giovane ricco, l’unico
essere umano di cui viene detto che Gesù lo ama di un amore personale e
diretto, il giovane ricco che se ne
va via come giovane triste, e Gesù se
ne esce con la celebre metafora del cammello e della cruna dell’ago, e i suoi
discepoli scuotono ancora la testa e si domandano chi mai potrà salvarsi, e
Gesù risponde che ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio. Se però
si cerca nel Vangelo come il Figlio di Dio razzolava, oltre che come predicava,
vediamo che Egli amava frequentare gente non tanto perbene sia rispetto al
denaro (prende un esattore delle tasse dell’occupante romano fra i suoi, va in
casa di Zaccheo il truffatore, loda in parabola l’amministratore disonesto,
sembra esaltare lo spreco talvolta a scapito della carità verso i poveri), che rispetto al sesso. Anche le donne che Gesù predilige non sono esattamente delle personcine
perbene: l'adultera che sta per essere lapidata, e per la quale Egli compie il
misteriosissimo gesto di scrivere sulla sabbia chissà cosa; la samaritana al
pozzo, che aveva avuto cinque mariti e il cui attuale uomo non è il marito. Ce
ne sono poi altre tre, che la tradizione cristiana riassume nella figura di
Maria di Magdala, la peccatrice guarita e perdonata, che sarà presente sotto la
croce e che danzerà con Lui, nel giardino della risurrezione, la danza
meravigliosa del nolimetangere: una che all'inizio della vita pubblica di
Gesù, mentre si nasconde da chi la giudica e la condanna, gli bagna i piedi con
le lacrime e glieli asciuga con i capelli, ingenerando una diffidenza nel suo
ospite Simone, la seconda che nell'imminenza della fine gli cosparge il capo
con unguento prezioso, provocando l'indignazione di Giuda Iscariota, la terza -
sorprendentemente - la Maria sorella di Marta e di Lazzaro, quella che siede ai
piedi del Maestro mentre l'altra lavora e serve, e che neanche il verificarsi
dell'episodio più scenografico del Vangelo - quello della rianimazione del
fratello avvolto da bende è già in stato di putrefazione - riuscirà a far
uscire di casa. Quindi la Chiesa ha indentificato in una prostituta, in una
peccatrice, l'archetipo della vita contemplativa. E' una cosa che - come si
dice - dà da pensare. La vita contemplativa cristiana non è fatta per chi ha
estinto in sé il desiderio, ma per chi ne avvampa. Il desiderio dovrà essere
liberato dal Cristo, ma il desiderio liberato non coincide con la liberazione
dal desiderio.
Le prime tre coppie di cui sto per raccontare dobbiamo
pensarle nel IV secolo, in Egitto, Siria e Palestina: è l'ambito storico in cui
sono state elaborate le celebri storie dei cosiddetti padri del deserto. Il cristianesimo è appena diventato 'lecito' nei
confini dell'impero, con la conseguenza che non vi sono più martiri, e che la
terra non è più irrigata dal loro sangue nutriente e generativo. Nasce la
necessità di una sostituzione, e questa è la vita monastica. Si va nel deserto
alla ricerca di un martirio incruento. Questi uomini, veri giganti dello
spirito, sono degli atleti della mistica, e proprio la loro athlesis li espone al serio rischio di
non aver più bisogno di Cristo, di credere di potersi autoperfezionare e
autorealizzare. E allora ogni tanto giunge qualche donna a ricordare loro che
non c'è compimento, spiritualità, mistica, senza la misericordia di Gesù. Pur
raggiungendo talvolta livelli straordinari di ascesi, rimane chiarissima nelle donne del deserto la grazia femminile
del loro prototipo, colei che siede ai piedi del Maestro ed è tutta nel suo
sguardo e nelle sue parole. Non dobbiamo dimenticare tuttavia che non est masculus neque femina (Gal 3,
28) e che, ad alcuni monaci venuti a visitarla, amma Sarra – una di queste
donne – disse: Io sono un uomo, voi siete
donne. Risposta strana, forse immediatamente irritante, ma se la si coglie
in un epoca in cui la parola uomo alludeva a certe virtù quali la forza,
l’autonomia, il coraggio, l’energia, e la parola donna a limiti quali la
debolezza, la dipendenza, il timore, si capisce che si tratta di una risposta
femminista: per madre Sarra ciò che fa di una persona un uomo (nel senso di
essere umano detentore di quelle virtù) o una donna (recante il segno di quei
limiti) non è certamente il sesso biologico. È da notare che le vite di queste
sante prostitute sono state composte e lette in ambito monastico maschile:
servivano a ricordare a coloro che potevano pensarsi perfetti nelle loro grotte
e nei loro cenobi che senza quello sguardo non c'è ascesi che valga.
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